L'oratorio di San Pietro, ovvero la "Batìa" di Gangi. Uno scrigno serrato da lungo tempo

di Salvatore Farinella©, pubblicato in L'Eco delle Madonie, 6-12 luglio 2001 (testo rivisitato)

Chiesa di San Pietro o della Badia, Gangi (foto S. Farinella©)
Chiesa di San Pietro o della Badia, Gangi (foto S. Farinella©)

Da quando sono stati ultimati gli oramai più che ventennali restauri dell'antica Batìa di Gangi, o meglio della chiesa rimasta l'unica superstite del grandioso complesso monastico benedettino, le aspettative di un'intera popolazione sono quelle di poter entrare finalmente in questo scrigno e di poter gustare uno dei più suggestivi elementi del patrimonio storico architettonico gangitano: aspettative che però, a distanza di due anni dal completamento dei lavori di restauro, sembrano ancora piuttosto lontane dall'essere soddisfatte.

Almeno due generazioni di gangitani non hanno mai avuto modo di ammirare questa chiesa e le sue opere: quella dei giovani e giovanissimi, ai quali l'edificio è stato da sempre negato a causa delle lungaggini di quei lavori che fanno ricordare loro la Batìa come un eterno cantiere; quella dei quarantenni, il cui vago ricordo risale alle poche occasioni per visitare la chiesa avute forse da bambini quando essa ancora funzionava come tale.

La storia di questo monumento cittadino è piuttosto articolata, in un'alternanza di fasto e decadenza che, soprattutto nel secolo scorso, ha condotto al suo completo abbandono e alla sua parziale distruzione.

L'oratorio di San Pietro venne concesso il 21 giugno 1366 ai Benedettini di Gangi Vecchio dall'allora Arcivescovo Dionisio della Diocesi di Messina, alla quale Gangi apparteneva. L'oratorio, al quale era annessa una grancia (ossia una piccola dipendenza), fungeva da punto di riferimento per quei frati all'interno dell'abitato ed era ubicato in una posizione a dir poco strategica: esso infatti si trovava a ridosso delle mura cittadine nei pressi di una delle porte di accesso al paese e presso il crocevia urbano che conduceva da un lato al castello ventimigliano (sede del potere feudale) posto in cima al monte e dall'altro lato alla piazza cittadina, sede del potere cittadino (con la casa giuratoria e la torre civica) e del potere ecclesiastico (con la chiesa madre dedicata a San Nicolò, vescovo di Mira).

L'orientamento della chiesa secondo l'asse nord-sud, del tutto inconsueto e unico nel panorama chiesastico locale, è frutto della ricostruzione della chiesa nella prima metà del XVIII secolo. 

Non sappiamo quando e per quale ragione ma sembra che fra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento l'antico oratorio, al quale nel frattempo era stata annessa una struttura monastica, venne ceduto dai frati Benedettini alle monache dello stesso Ordine: da allora nei documenti d'archivio l'edifico assunse il nome di Badìa di San Pietro. Della comunità religiosa femminile che nel 1645 contava nove monache di clausura, fecero parte durante i secoli le figlie delle famiglie gangitane più in vista: dalla sorella del pittore Giuseppe Salerno alla figlia de Principe di Gangi, donna Caterina Graffeo, ad altre ancora.

Concio datato 1738 (foto S. Farinella©)
Concio datato 1738 (foto S. Farinella©)

Dei continui rimaneggiamenti subiti dalla chiesa durante i secoli oggi si conservano solamente quelli realizzati nel corso del Settecento, interventi che hanno caratterizzato anche artisticamente il sacro edificio.

Al 1738 sembra infatti risalire l'articolata facciata della chiesa, d'impronta tardo manierista: la data impressa su un concio di pietra posto sul portale d'ingresso rivela infatti che a questo periodo è da ascrivere un intervento complessivo sull'intera chiesa conclusosi con l’elegante prospetto in pietra intagliata.

A proposito del concio datato, rileviamo come improbabili quanto fantasiose interpretazioni abbiano condotto studiosi locali ad effettuare voli pindarici nel tentativo di spiegare la nascita della nostra Batìa: quella data 1738 venne infatti letta come " M38 " e venne in- terpretata ora come 1038 (data in cui la M stava per il millennio) ora come Monastero 38°, ossia come il 38° monastero costruito dai Benedettini in terra di Sicilia (1).

Giuseppe Crestadoro, affreschi della volta, 1796 (foto S. Farinella©)
Giuseppe Crestadoro, affreschi della volta, 1796 (foto S. Farinella©)

Alla seconda metà del Settecento sono invece riconducibili gli interventi all'interno della chiesa (malgrado qualche dipinto su tela degli altari, dei quali oggi ci sfuggono date ed autori, possa anche risalire al secolo precedente): così l'artistico organo a canne, posto nel presbiterio proprio sopra la grata del “comunichino” (ossia la grata dalla quale le monache ricevevano l'Eucarestia senza venire a contatto con il sacerdote e i fedeli), e così anche la balaustra e gli altari (riconducibili al marmoraro catanese Lorenzo Viola che, proprio a cavallo fra Settecento e Ottocento, opera in varie chiese di Gangi), o il ciclo di affreschi che ricopre l'intera volta.

Proprio quest'ultimo rappresenta uno degli aspetti artistici più evidenti e più fastosi della nostra chiesa: già oramai improntati al nuovo gusto neoclassico che soppiantava gli ultimi sprazzi tardobarocchi, gli affreschi della volta vennero eseguiti nel 1796 dal pittore Giuseppe Crestadoro, come appare dalla firma e dalla data apposti ai dipinti. Nei grandi quadroni centrali della volta e nei riquadri attorno alle lunette delle finestre sono rappresentate scene del Nuovo Testamento.

Al fasto dei secoli precedenti si sostituì, dalla seconda metà dell'Ottocento, la decadenza della nostra chiesa e del monastero: la soppressione degli Ordini religiosi avvenuta nel 1866 condusse all'abbandono dell'antica Badìa (chiesa e monastero), così come avvenne per altri conventi siciliani. Un decreto prefettizio ne assegnò la proprietà temporanea al Comune.

Solamente alla fine del secolo i beni confiscati agli Ordini soppressi furono assegnati al Fondo per il Culto il quale, intorno al 1910, donò l'antico complesso monastico al Comune di Gangi con il preciso obbligo di mantenere immutata la destinazione della chiesa.

Ma per l'antica Badia decadenza e degrado non erano ancora finiti. Nonostante la chiesa continuasse a funzionare tramite un cappellano nominato dal Consiglio Comunale il vecchio monastero, in rovina e semidiruto, subiva l'abbandono e il disinteresse dei nuovi proprietari.

Nel 1922, con delibera n. 29 del 27 agosto, il Consiglio Comunale di Gangi accettò la richiesta di un certo Albergamo Giuseppe di avere concesso in affitto il corridoio del dormitorio dell'antico monastero, al fine di destinarlo a sala cinematografica (2); e poiché le condizioni statiche dell'edificio erano così gravi che il Comune non era in condizioni di apportare le riparazioni occorrenti, si addivenne all'accordo che l'Albergamo avrebbe provveduto alle riparazioni necessarie scomputando la somma occorrente (stimata dall'ufficio tecnico comunale) dalla quota di affitto. Rimaneva però l'obbligo all'affittuario di restituire il fabbricato qualora il Comune portasse a compimento il recondito disegno di destinare il monastero a edificio scolastico.

Benché la definitiva distruzione del complesso monastico per costruirvi l’attuale edificio delle scuole risalga agli anni Trenza del Novecento, tuttavia questa intenzione maturava in seno all’Amministrazione Comunale già da parecchi decenni prima.

Una delibera consiliare risalente al 20 dicembre 1900, la numero 98, destinava infatti le spese per l'applicazione della marca da bollo al progetto di adattamento dell'ex monastero delle Benedettine ad uso edificio scolastico, progetto che era stato redatto dal perito urbano comunale Giuseppe Balsamelli su ordine dei Sindaci delle precedenti amministrazioni: ma l’intenzione di demolire il vecchio monastero per far posto alla scuola risaliva già alla seduta consiliare del 14 dicembre 1890 (3).

Negli anni Trenta del Novecento un pezzo di storia venne dunque impunemente e definitivamente abbattuto per far posto a un altro pezzo di storia, l'imponente (odierno) edificio scolastico voluto dall'allora regime fascista: e se da un punto di vista compositivo il nuovo edificio (alla cui progettazione mise mano l'architetto e ingegnere Salvatore Caronia Roberti) si presenta come un compiuto e magari apprezzabile segno di quella corrente architettonica che ha (comunque) caratterizzato un'epoca, rimane tuttavia il rammarico di aver perduto per sempre una importante testimonianza del nostro passato, della nostra Storia.

Dell'antica Badia di Gangi oggi non rimane altro che la chiesa con i suoi superstiti fatti d'arte, comunque ricondotta al suo antico splendore. Eppure un siffatto monumento rimane ancora serrato, come uno scrigno pieno di tesori del quale sembra essersi perduta la chiave.

L'auspicio è che le generazioni odierne e quelle a venire possano, in un non lontano futuro, godere di questo patrimonio e impegnarsi affinché il suo uso sia corretto, nell'ottica della sua salvaguardia e della sua costante fruizione.

Note

 

1 S. Nasello, Engio e Gangi, 1^ ed. Palermo 1949, 2^ ed. Palermo 1982.

2 Archivio Storico Comune di Gangi, Fondo delibere del Consiglio Comunale.