Errori, invenzioni e falsi della storiografia su Gangi. Premessa

Prima di avviarsi verso l'analisi degli errori e dei falsi sulla storia di Gangi è utile fare riferimento ad alcune considerazioni di Orazio Cancila (professore emerito di Storia moderna presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo e Direttore della rivista Mediterranea. Studi e ricerche storiche), che bene sintetizzano il ruolo dello storico e l’importanza del lavoro storiografico.

«Storia - per convinzione ormai pressoché unanimemente accettata - è la scienza che ci aiuta a comprendere il presente attraverso lo studio del passato, attraverso le risposte che può darci il passato … ogni epoca trova sempre insoddisfacente la storiografia della generazione precedente e riscrive (dico riscrive) la storia, esprime cioè una sua storiografia ... La storia che si scriveva nell’Ottocento (o in qualsiasi altra epoca) è una storia diversa da quella che scriviamo noi, che sarà a sua volta diversa da quella che scriveranno i nostri posteri» (1).

Ancora il Cancila osserva che «lo storico nel suo lavoro si muove su due piani, che non sono diacronicamente distinti: quello della ricostruzione degli eventi e l’altro della interpretazione. Non c’è dubbio che storici professionalmente onesti, che dispongono delle stesse fonti, dovranno pervenire a ricostruzioni dei fatti e degli eventi non discordanti, e perciò in tal senso può parlarsi di oggettività della storia ... Tutti gli storici seri sanno che la realtà storica non è l’intera realtà. Ma è indubbio che non possono esserci diverse realtà storiche, una per Tizio, l’altra per Caio. La realtà storica è una e una sola, ma è tuttavia aperta a ulteriori verifiche, correzioni, arricchimenti, per effetto di ulteriori ricerche e approfondimenti che portano alla luce elementi nuovi, trascurati nelle ricostruzioni precedenti. Elementi nuovi che molto spesso sono il frutto di una nuova, diversa, sensibilità della storiografia, di un modo nuovo di interrogare il passato, perché nuovi sono molto spesso i problemi che ogni generazione si pone» (2).

Infine egli osserva ancora che «la ricostruzione dei fatti e degli avvenimenti non è però disgiunta dalla loro interpretazione. Ed è proprio l’interpretazione che diverge da storico a storico. Ogni storico porta nel lavoro di interpretazione tutto se stesso, la sua vicenda umana, i suoi interessi scientifici, la sua sensibilità, la sua capacità di creare collegamenti e individuare nessi, la sua capacità di critica della documentazione utilizzata: in una parola porta la sua cultura. Ecco perché è possibile che gli stessi fatti possano dar luogo a interpretazioni divergenti, tutte legittime se gli autori non si sono lasciati fuorviare da elementi esterni, come potrebbero essere l’ideologia o lo spirito di parte ... La validità di un testo si misura non soltanto dalla correttezza della ricostruzione dei fatti ma anche dal grado di attendibilità delle interpretazioni» (3).

Appare dunque chiaro, da quanto sopra citato, che lo storiografo deve compiere un'analisi dettagliata e precisa degli eventi storici basandosi su conoscenze attendibili (fonti primarie soprattutto, come documenti e bibliografie), ma anche su interpretazioni e ricostruzioni corrette: ricostruzione che devono poter essere riconoscibili come tali e in quanto tali devono poter essere soggette a una revisione critica.


 

Questa lunga e necessaria premessa serve a inquadrare le linee che guidano gli storiografi contemporanei, e dunque anche chi scrive: ma serve anche a definire i limiti entro i quali uno storiografo deve muoversi affinché ciò che egli scrive possa essere corretto, verificabile e quindi condivisibile.

Da tempo nella storiografia “tradizionale” di Gangi si scorgono dei luoghi comuni e delle credenze diffuse - quelle che qui chiamiamo più appropriatamente “errori storiografici” o a volte addirittura "falsi storiografici" - che resistono al passare del tempo e che molti credono "storia" anche quando sono smentite dai documenti. Attingendo a piene mani da quegli storiografi moderni che a partire dal XVI secolo avevano pensato di sancire in maniera risolutiva i termini della storia di Gangi - da Tommaso Fazello a Filippo Cluverio a Rocco Pirri ai settecenteschi Marchese di Villabianca e Vito Amico -, la storiografia "tradizionale" con a capo i nostri due autori gangitani del Novecento, Santo Nasello e Francesco Alaimo (che hanno comunque il merito di essere stati pionieri nella storiografia locale, pur con i limiti dei tempi in cui operarono), ripropose sempre lo stesso cliché riverberando gli errori storiografici di quegli scrittori e a volte aggiungendo del loro con largo uso della fantasia e in certi casi, cosa ancora più grave, falsando i documenti disponibili. Una “storia” che in più occasioni e per più argomenti si è rivelata come pura fantasia o addirittura mera invenzione, ma che è passata come “tradizione storiografica accreditata” e avallata più recentemente da poco accorti studiosi locali contemporanei che della storiografia "tradizionale" e dei suoi palesi errori fanno una bandiera (si cita qui, per esempio, il dottore Mario Siragusa).

 

A mettere in dubbio diverse argomentazioni fatte passare per “storia” dalla "tradizione" storiografica sono i documenti d’archivio, i documenti archeologici o architettonici ma anche le pubblicazioni di autorevoli studiosi siciliani ed europei (si citano fra gli altri il Peri, il gangitano Giunta, l'Amari, il Garufi, il Cusa, il White, il Mazzarese Fardella o ancora il Bresc e l'Aymard, oltre a vari contemporanei come il Mendola, l'Abbate, il Termotto, l'Anselmo e meno meritatamente chi scrive). Certo è che il Nasello e l'Alaimo si trovarono a scrivere con la conoscenza di meno fonti d'archivio rispetto ad oggi, ma quelle ad essi note sono state spesso travisate e (come diremo) perfino falsate e aggiustate con l'innesto di una buona dose di invenzione. 

Lo sforzo di profonda revisione di quanto la storiografia "tradizionale" ha inteso come storia di Gangi si rende dunque necessario per dare contezza di “un’altra storia” che, a mio parere, si mostra più attendibile e anche più affascinante: certo, laddove la documentazione non lo consente appieno si fa ricorso alla "interpretazione" ricordata dal Cancila, attraverso indizi sufficienti e ragionamenti atti a costruire nuove ipotesi attendibili e comunque sempre soggette a revisione critica. In ogni caso lo sforzo è quello di distinguere chiaramente ciò che è ricostruzione ipotetica da ciò che invece è ricostruzione storica documentata.

Di seguito si propongono quindi per macroargomenti gli errori e i falsi della storiografia "tradizionale", e per ognuno di essi si darà quella che ritengo la più corretta ricostruzione storica appoggiata a documentazione d’archivio edita e inedita.


Note

 

1 - F. D'Avenia (a cura di), La Storia, gli storici, atti della Tavola rotonda 29 novembre 2000, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palermo, 2004, p. 40.

2 - Ivi, p. 40-41.

3 - Ivi, p. 41-42.