Filippo Quattrocchi. Profilo familiare di un artista madonita

L'infanzia e la famiglia dello scultore gangitano nelle testimonianze dei documenti dell’epoca

di Salvatore Farinella©, pubblicato in Le Madonie, n. 5, 2001

Di Filippo Quattrocchi, scultore ligneo gangitano attivo fra Settecento e Ottocento, conosciamo ancora poco. Sappiamo che era nativo di Gangi come gli altri due eccelsi artisti seicenteschi Gaspare Vazzano e Giuseppe Salerno, meglio noti con lo pseudonimo di Zoppo di Gangi: così come per costoro, anche del Quattrocchi conosciamo l'esistenza di numerosi capolavori sparsi in molte chiese siciliane.

In una precedente circostanza (cfr. Le Madonie n. 3/99) abbiamo avuto modo tuttavia di tracciare un primo profilo dell'artista, individuando i suoi primi lavori nel paese d'origine e parte della sua vita privata. Grazie a nuove acquisizioni documentali siamo oggi in grado di descrivere alcuni aspetti della sua infanzia e di quello che potrebbe essere stata la sua formazione artistica a Gangi, prima ancora che il Quattrocchi (come fece oltre un secolo e mezzo prima lo Zoppo di Gangi, Gaspare Vazzano) si trasferisse a Palermo, città dalla quale operò costantemente attraverso la sua bottega.

Come si è avuto modo di vedere, Filippo nacque da Gandolfo Quattrocchi e da Rosalia Nicosia: sulla scia di quanto asserito dal Nasello avevamo ritenuto sufficiente l'atto di battesimo registrato il giorno 8 ottobre 1734 nel quale figurava un bimbo, figlio dei due coniugi Quattrocchi, di nome Giuseppe Filippo (1). Il ritrovamento di quell'atto fu dunque bastevole per dare al nostro artista una data di nascita certa, nonostante ci fosse apparso strano l'abbandono del primo nome (Giuseppe, che era quello del nonno paterno) a favore del secondo (Filippo).

Un ulteriore atto di battesimo rinvenuto nel corso delle ricerche, successivo al primo di quattro anni, rimette però in discussione l'argomento: quest'ultimo inedito documento datato 13 febbraio 1738 si riferisce infatti a un bambino, anch'esso nato da Gandolfo Quattrocchi e da Rosalia Nicosia, al quale vennero imposti i nomi di Filippo Cataldo Gioacchino (2).

A questo punto appare più ragionevole ritenere proprio questo ultimo atto come il più attendibile e nessun dubbio rimane, quindi, sulla corretta data di nascita del nostro artista, riconducibile pertanto al febbraio 1738: tanto più che il Rivelo presentato da Gandolfo Quattrocchi il 10 novembre 1747 conferma la presenza in famiglia sia del primogenito di nome Giuseppe, di 12 anni, sia del secondogenito Filippo che a quell'epoca ha appena 9 anni (3).

La famiglia di Filippo non eccelleva in benessere e, nonostante dal proprio rivelo dimostri una discreta facoltà di 82 onze, la vita che conduceva era alquanto modesta: insieme ai suoi genitori, al fratello maggiore Giuseppe, agli altri due fratelli Innocenzo e Salvatore ed alle due sorelle Arcangela e Maria, l'adolescente Filippo viveva infatti in una casa terrana di un solo corpo (una sola stanza) nel quartiere di San Paolo, confinante da un lato con le mura di cinta della cittadina.

Il padre Gandolfo possedeva alcuni animali da lavoro (4 bovi di travaglio, 2 vacche d'armento e poi una mula e una giumenta) e alcune salme di orzo e di grano seminati. non possedeva terre di proprietà (almeno in questi anni) e la sua famiglia non sembrava vivere di agiatezze.

Giovanni Nicosia, affreschi, 1748, chiesa della Catena (foto S. Farinella©)
Giovanni Nicosia, affreschi, 1748, chiesa della Catena (foto S. Farinella©)

Più interessante appare invece la famiglia della madre di Filippo, quella Rosalia Nicosia che avevamo pensato originaria dall'omonima cittadina ennese: essa invece proveniva da Caltanissetta e intorno alla fine del secondo decennio del secolo si era trasferita a Gangi insieme al padre mastro Salvatore, alla madre Arcangela Stroppia (o Stuppia) e ai fratelli Giovanni e Nicolò. E' nell'ottobre del 1732 che la giovane Rosalia sposa Gandolfo Quattrocchi (4).

I Nicosia a Gangi trovano un ambiente accogliente che dà loro la possibilità di inserirsi in breve tempo: ma solamente a metà degli anni '30 del Settecento troveranno conferma nella loro professione. Mastro Nicolò è un bravo falegname che trova lavoro presso le varie chiese locali: nel 1735/36 riceve l'incarico di accomodare li cassarizzi della chiesa madre (5) e di eseguire dei candelabri per la chiesa del SS. Salvatore (6).

Giovanni Nicosia appare però molto più facoltoso rispetto al fratello Nicolò e al cognato Gandolfo. Intanto egli viene riverito con l'appellativo di don, titolo onorifico spettante (oltre ai nobili) a chi esercita un'arte o una professione rispettabile (notaio, medico, pittore, scultore): e don Giovanni Nicosia era infatti un impegnato seppur non eccellente pittore. Sposato con la ricca Margherita Ventimiglia (7) che gli darà almeno 4 figli, Giovanni Nicosia possedeva una casa in 5 corpi terrani e solarati (ossia a più piani) nel quartiere di San Giovanni Battista, proprio di fronte la chiesa: poteva contare inoltre su 4 vigne con cinquemila viti e su un pezzo di terra vacua clausurata che facevano ascendere la sua facoltà a 158 onze (8).

Riguardo alla sua professione, ritroviamo don Giovanni Nicosia anch'egli attivo a Gangi fin dagli anni '30 del secolo: nel 1734/35 viene infatti pagato dal procuratore della chiesa madre per l'affitto delle carte (apparati scenici dipinti) per la scalinata del sepolcro (9) e l'anno seguente, per lo stesso motivo, dal procuratore della chiesa del SS. Salvatore in occasione della festa del Crocifisso (10). Più impegnativi risultano invece i due interventi di restauro richiesti a Giovanni Nicosia negli anni seguenti: nel 1737/38 lo troviamo infatti occupato nella chiesa di San Cataldo per il restauro del quadro dei Diecimila Martiri del Salerno (11) e, l'anno seguente, ancora nella chiesa del Salvatore per il restauro del quadro della Passione (l'Andata al Calvario, copia del più celebre dipinto di Raffaello) (12).

Nel 1748 Giovanni Nicosia arriva all'apice della notorietà artistica (almeno in campo locale) con l'incarico degli affreschi per le volte della chiesa di Santa Maria della Catena, lavoro che gli procurerà un compenso di oltre 60 onze (13).

Il giovane Filippo Quattrocchi crebbe dunque in questo ambiente, fra una modesta famiglia che giorno dopo giorno cercava di sbarcare il lunario e due zii, Nicolò (il falegname) e Giovanni (il pittore), presso le cui botteghe è pensabile che abbia trascorso la propria infanzia a fare l'apprendista, ora con la sgorbia su di un pezzo di legno, ora con i carboncini sui muri o su pezzi di stoffa.

Non possiamo escludere che al conferimento dei primi lavori (una nuvola sotto i piedi della statua di San Michele Arcangelo e il bacolo della statua di San Biagio nella chiesa della Catena e l'aquila nella sedia dell'arciprete nella chiesa madre a Gangi negli anni 1758/59) abbia concorso, oltre ai due zii materni, anche il fratello del padre, il sacerdote don Alberto Quattrocchi. Come appare verosimile che siano stati questi tre zii a suggerire al giovane Filippo di trasferirsi a Palermo per migliorare il suo talento, genio artistico che già a metà degli anni sessanta del Settecento era più che consolidato.

Sant'Antonio da Padova, particolare (piedi, mani e Bambino di Filippo Quattrocchi), 1764/65, chiesa madre (foto S. Farinella©)
Sant'Antonio da Padova, particolare (piedi, mani e Bambino di Filippo Quattrocchi), 1764/65, chiesa madre (foto S. Farinella©)

E' infatti del 1764/65 la commissione a mastro Filippo Quattrocchi delle mani e dei piedi della statua di Sant'Antonio da Padova, e del Bambino, per l'omonima cappella della chiesa madre di Gangi: pezzi che il giovane Filippo manda da Palermo (14) (da dove oramai opera da qualche anno  e dove rimarrà per l'intera sua vita) e che saranno montati sulla statua da un altro valente  intagliatore ligneo suo conterraneo e coetaneo, mastro Fabio di Pane, lo stesso che qualche anno dopo (1770) collaborerà con Filippo Quattrocchi ed altri falegnami alla definizione del coro della  chiesa madre di Gangi.  Interessante figura a metà strada fra l'artigiano e l'artista, Fabio di Pane era coetaneo e forse amico d'infanzia del nostro Filippo Quattrocchi, e non è escluso che abbia frequentato anch'egli la bottega di mastro Nicolò Nicosia, dove insieme a Filippo avrà appreso l'arte  dell'intaglio. Ma, a differenza di quanto avvenne un secolo e mezzo prima per i due Zoppo di Gangi (quando tanto il Vazzano a Palermo quanto il Salerno nel paese natio raggiunsero l'apice della  perfezione artistica e della notorietà), questa volta la storia non si è voluta ripetere: e mentre Fabio di Pane a Gangi rimaneva solamente un bravo artigiano, Filippo Quattrocchi a Palermo diventava un genio dell'arte scultorea, forse ultimo mirabile erede di una schiera di scultori siciliani.

Note

 

1 Il documento venne citato dal Nasello con qualche imprecisione: l’autore invertì infatti i nomi di battesimo del Quattrocchi anteponendo al primo nome, ossia Giuseppe, quello di Filippo. Cfr. S. Nasello, Engio e Gangi, Palermo 1982, p. 266, nota 1.

2 Archivio Chiesa Madre di Gangi (da ora ACMG), Libro dei battesimi, vol. 31, c. 76 v.

3 Archivio di Stato di Palermo, Deputazione del Regno (da ora ASP-DR), Riveli delle anime e dei beni dell'anno 1747, vol. 2972, c. 120-123 v.

4 ACMG, Libri dei matrimoni, vol. 5, c. 63 v.

5 Ibidem, Libro dei conti della chiesa Madre, anno XIV Indizione 1735/36, vol. III, c. 181 v.

6 Ibidem, Libro dei conti della chiesa del SS. Salvatore, anno 1735/36, vol. II, c. 182 v.

7 Ibidem, Libri dei matrimoni, 20 febbraio 1729, vol. 5, c. 35.

8 ASP-DR, Riveli delle anime e dei beni dell'anno 1747, vol. 2966, c. 421-426 v.

9 ACMG, Libro dei conti della chiesa Madre, anno 1734/35, vol. III, c. 173.

10 Ibidem, Libro dei conti della del Salvatore, vol. II, c. 184.

11 Ibidem, Libro dei conti della chiesa di San Cataldo, vol. II, c. 108.

12 Ibidem, Libro dei conti della del Salvatore, vol. III, c. 198.

13 S. Farinella, Gangi. Chiesa di S. Maria della Catena. Risplendono gli affreschi, in Rivista della Chiesa Cefaludense, maggio 2001, p. 50-53.

14 Ibidem, Libro dei conti della chiesa Madre. Cappella di S. Antonio da Padova, vol. I, c. 18. Il pagamento al Quattrocchi fu di 4 onze, mentre 2 tarì vennero pagati "per portare il Puttino, le mani e piedi da Palermo".