Il castello di Sperlinga

di Salvatore Farinella©, tratto da I Ventimiglia. Castelli e dimore di Sicilia, edizioni Editori del Sole, Caltanissetta 2007

Interno della chiesa del castello (foto S. Farinella©)
Interno della chiesa del castello (foto S. Farinella©)

La parte centrale di questo primo livello è occupata da un cortile scoperto, delimitato nella parte anteriore dall’alto muro di cinta stagliato sulla roccia e nella parte posteriore dalla cappella del castello edificata a picco sulla rupe dalla parte di nord-est. Secondo alcuni la cappella palatina (che fino a qualche anno presentava solamente alcuni ruderi superstiti, stilisticamente riferibili al XVI-XVII secolo e che oggi un restauro forse troppo “filologico” ha ricostruito per intero) era dedicata a san Domenico Sirieco (17) mentre altri ne riconducono la titolarità a san Luca (18): il piccolo edificio presenta una pianta rettangolare con l’abside rivolta verso nord-ovest. E’ probabile che in origine l’impianto medievale della cappella mostrasse l’orientamento canonico con l’abside rivolta ad est, così come sembrerebbe suggerire la presenza di una nicchia semicircolare rivolta proprio in tale direzione.

 

La chiesa del castello e il cortine interno (foto S. Farinella©)
La chiesa del castello e il cortine interno (foto S. Farinella©)

Nell’estrema parte occidentale di questo primo livello, oltre la chiesa e il cortile, il castello presentava altri ambienti le cui funzioni erano in parte di servizio: la sovrastante terrazza era dotata di un camminamento di guardia con merlature. Estremamente suggestivi, questi ambienti costituiscono indubbiamente la parte più arcaica dell’intera fortezza e contribuiscono a rendere il maniero misterioso e affascinante: è infatti questa spettacolare presenza di ingrottati che colpisce maggiormente chi visita il castello di Sperlinga, un complesso di ipogei ricavati nel masso a diversi livelli sovrapposti ed intercomunicanti che proiettano il visitatore in quella parte della storia (o della protostoria) in cui la vita si svolgeva secondo i caratteri della civiltà rupestre.

Per lungo tempo si è creduto che la maggior parte di questi ambienti ipogeici fosse destinata a deposito di granaglie e di derrate alimentari: un approfondito esame rivela invece un sistema di ardite e affascinanti sale ipogeiche con volte a campana ricavate dall’escavazione del masso arenario e riservate a funzioni ben più complesse. Ad esse si perviene attraverso una piccola rampa di scala intagliata nella roccia che dalle sale del primo livello scende direttamente nelle viscere del masso: a giudicare dalle dimensioni dei vani e dagli elementi ancora oggi leggibili siamo portati a credere che questo fosse il nucleo originario della fortezza, scavato molti secoli prima dell'avvento dei Ventimiglia.

Ambienti ipogeici nei sotterranei del castello (foto S. Farinella©)
Ambienti ipogeici nei sotterranei del castello (foto S. Farinella©)

Alcuni di questi ambienti sotterranei erano verosimilmente destinati a funzioni di rappresentanza o ad attività che implicavano una certa sacralità: qui infatti una grande sala a pianta circolare conserva ancora i segni di chiusura dell’ingresso a protezione dell’ambiente: ma il particolare più affascinante e misterioso è la presenza di dodici piccole nicchie ricavate nella parete curva
della sala, forse ricordo di probabili esercizi esoterici legati al simbolismo espresso dall’ambiente (numero delle nicchie, pianta circolare, localizzazione entro le viscere della roccia).
 Dal lato opposto un’altra serie di sale intercomunicanti completa il sistema ipogeico.

Oltre alle aperture dirette verso l’esterno che fungono da finestre la maggior parte di queste sale sotterranee è dotata di un largo foro ricavato alla sommità della volta che ricopre ogni ambiente; tali aperture consentivano la circolazione dell’aria ed un collegamento con gli ambienti sovrastanti. Anche le sale rupestri a pianta quadrangolare accanto alle prime, ma poste al livello superiore, confermano l’arcaicità di questa zona della fortezza: emblematica e misteriosa appare infatti la presenza dell’ultimo ambiente (all’estrema punta occidentale) dotato di stipiti di ingresso intagliati e con il piano del pavimento posto ad una quota sensibilmente inferiore rispetto a quella delle altre sale.

Il castello di Sperlinga era dunque una perfetta struttura difensiva ideata per resistere a lungo agli assedi senza peraltro patire la benché minima difficoltà: lo testimoniano per esempio le numerose cisterne per la raccolta dell’acqua piovana ricavate entro il masso nel cortile scoperto. Un sistema di canalette di scolo intagliate direttamente nella roccia e disposte in maniera opportuna assicurava il convogliamento dell’acqua direttamente nelle cisterne.
 A questo primo ordine del castello appartiene anche un'altra affascinante opera ipogeica ricavata nella parte centrale ed orientale del maniero: qui infatti una seconda serie di ambienti scavati in successione costituisce un esempio di architettura rupestre raramente pareggiabile (19). A iniziare dalla cappella del castello questi ambienti occupano la parte mediana della rupe e si sviluppano per una lunghezza di circa novanta metri; per tali ambienti erano previste diverse funzioni: alcuni vani ospitavano le stalle della fortezza e le prigioni (la presenza di “anelli” incavati nella roccia suggerisce infatti che nei fori passassero corde o catene), altri ambienti erano destinati a depositi mentre una fucina con cappa tronco conica ricavata dentro il masso veniva utilizzata per la fusione dei metalli o come bocca di segnalazione. Un lungo corridoio trapassava la rupe da una parte all’altra in senso trasversale, terminando con un portale che si apriva sul vuoto: questa apertura era chiamata la porta falsa ed era uno dei trabocchetti di cui era provvisto il castello.
 Questi grandi ambienti rupestri, in parte dotati di finestre, presentano mediamente una larghezza di circa sei metri ed hanno una copertura a soffitto piano sorretta da grossi pilastri ricavati dallo stesso masso; anche qui alcune cisterne incavate assicuravano la riserva idrica, grazie ad una serie di canalette che convogliavano opportunamente l’acqua piovana. Nella parte terminale di questo sistema di sale un piccolo ambiente rivela un uso particolare rispetto ai vani precedenti, benché a noi ignoto, testimoniato dai segni degli alloggiamenti dei cardini per la chiusura dell’ingresso.


 

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Note

 

17. - G. Lanza Tomasi, E. Sellerio, Castelli, cit., p. 106. Gli autori in effetti ipotizzano la presenza di due chiese all’interno della prima cinta del castello, una più antica titolata a san Luca e l’altra cinquecentesca dedicata a san Domenico di Siria. Altre fonti indicano invece il mutamento della titolarità della chiesa ad opera degli Oneto, nuovi proprietari del castello, nel 1662 e la dedicazione a san Domenico in Soriano, ossia san Domenico di Guzman venerato nel monastero di Soriano presso Vibo Valentia; cfr. AA. VV., Castelli medievali di Sicilia. Guida agli itinerari castellani dell’isola, edito dal Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione dei Beni Culturali e Ambientali, Palermo 2001, scheda Sperlinga, p. 210.

18. - V. M. Amico, Dizionario topografico della Sicilia tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo 1855, riedizione Sala Bolognese 1983, vol. II, p. 542. Cfr. anche G. Paterno’ Castello, Nicosia, Sperlinga, Cerami, Troina, Adernò, Collezione di monografie illustrate, serie I Italia Artistica, Bergamo 1907, p. 72. Benché ne attesti l’effettivo stato di rudere l’autore descrive questa chiesa come di puro stile normanno, circostanza oggi non più verificabile.

19. - Proprio per il suo carattere rupestre, H. Bresc assegna al castello di Sperlinga un posto a parte nella castellologia siciliana. Si veda H. Bresc, Motta, Sala, Pietra: Un incastellamento trecentesco in Sicilia, in Archeologia Medievale, II, 1975, p. 431.