La torre detta "dei Ventimiglia" a Gangi fra "pinnaculum", Cavalieri di Malta e altri abbagli storici, passando dalla fondazione di Gangi e da uno stemma araldico di stravagante lettura: risposta a Mario Siragusa su discutibili, presunte "certezze" - 2^ Parte
di Salvatore Farinella©, testo inedito - dicembre 2014
- Riguardo alla “casa giuratoria” (quello che oggi chiamiamo “municipio”) le notizie certe dell’articolista risalgono alla fine del XVIII secolo, ossia alla fine del Settecento: le mie notizie certe e documentate risalgono invece ai primi del Seicento e un particolare fa pensare che i Giurati avrebbero potuto riunirsi, prima di questo periodo, in un altro luogo che non fosse la “casa giuratoria”. Un atto del 14 maggio 1633 attesta infatti che il notaio Alfio Citati mise a disposizione una sua casa «pro usu occurrentium un(iversita)tis», ossia proprio come “casa giuratoria” (ASCG, Fondo notai defunti, atto del notaio Tommaso di Salvo, vol. IG1, c. 132v-133): la circostanza fa pensare - e non ce ne stupiremmo affatto - che in quel periodo l’amministrazione civica (non il consiglio civico) non disponesse di un luogo istituzionale deputato alle funzioni civiche. Forse perché i Giurati e tutto l’apparato amministrativo (in una parola l'Universitas) vennero “sfrattati” dalla torre oramai riconvertita alla sua nuova funzione di campanile della chiesa madre? Non abbia paura l’articolista, è solo una supposizione.
- Riguardo allo “status patrimoniale”, le ricerche e i documenti sull’argomento sono così esigui che non giova avventurarsi su deboli “certezze” che potrebbero avere le gambe corte. Sull'argomento io rilevo che durante i secoli, dal XVII e almeno fino all’Ottocento, pur essendo divenuta campanile della chiesa madre, la torre sembra essere rimasta nelle prerogative anche dell’amministrazione pubblica, la quale se ne servì per collocarvi gli orologi pubblici, così come la pinnata-pinnaculum e i locali sottostanti rimasero di prerogativa e uso pubblico: furono infatti i Giurati a concedere alle Confraternite e al clero la possibilità di chiudere gli ambienti sotto la pinnata-pinnaculum (previo assenso del Principe di Gangi) per ricavarne locali, ossia l’odierna sepoltura dei preti e gli oratori delle confraternite (si veda quanto ho scritto in proposito). E chissà se tali prerogative non derivavano dal fatto che in origine la torre e la pinnata-pinnaculum fossero civiche, cioè adibite ad usi pubblici legati all’amministrazione cittadina, ivi comprese le riunioni dei Giurati nella prima e del consiglio cittadino (il popolo) nella seconda.
Peraltro non vengono indicate dall’articolista in modo chiaro e scientificamente verificabile, nell’articolo in questione (La torre dei Ventimiglia di Gangi: il pinnacolo, il campanile e la ‘matrice’ …), le fonti alla base delle sue affermazioni: così infatti avviene per un «documento più risalente conservato nell’archivio di Gangi», del quale l’articolista omette come fa spesso la fonte e i riferimenti e che attesterebbe, come prassi ordinaria, «che originariamente il consiglio del borgo o “terra” si riuniva all’interno della Chiesa Madre», affermando che ciò avveniva «secondo un [sic] antica consuetudine che ritroveremo nella prima metà del XIX sec., attestataci ad es. da documenti della locale confraternita del SS.mo Rosario di S. Nicolò», i cui riferimenti vengono ancora una volta - ovviamente - omessi. I documenti d’archivio, disponibili a partire dalla seconda metà del XVI secolo, attestano in maniera incontrovertibile che il consiglio cittadino si riuniva more solito (come al solito, quindi sempre) sotto la pinnata-pinnaculum (il portico meridionale attaccato alla chiesa, coincidente con lo spazio oggi occupato dagli Oratori delle Confraternite): rare volte, quando gli argomenti da trattate erano di importanza tale da coinvolgere un numero elevato di cittadini (oltre ai rappresentanti), veniva coinvolto anche l’interno della chiesa madre, prassi di certo non ordinaria e dunque non riscontrabile nelle consuetudini del borgo.
6 - Sulla “pianta” del li Pani
- Questo punto dello scritto dell’articolista riguarda l'interpretazione di un documento che ha finalità diverse da quelle, come crede l’articolista, della iconografia specifica del borgo di Gangi: si tratta della “Pianta Topografica Geodetica dell’intiero Territorio della Comune di Gangi ed in parte delli territorj contigui” di Andrea li Pani (uso qui il “li” minuscolo perché così è nelle carte d’archivio e nella pianta topografica in questione), agrimensore gangitano operante nel primo Ottocento - carta che io conosco bene, così come ironicamente sottolineato dall’articolista il quale mostra invece di averne poca dimestichezza -, redatta nel 1834 e raffigurante tutto il territorio del Comune di Gangi con lo “schizzo” del borgo di Gangi, la cui precisione riguardo ai dettagli dell’abitato è chiaramente e lapalissianamente funzione al carattere geo-topografico della carta.
- Orbene, scrive l’articolista che la «pianta topografica di Gangi dell’ing. Li Pani … [è] forse parzialmente ispirata a carte molto più antiche) … [circostanza] che farebbe pensare ad un’ispirazione relativa a un modello topografico di riferimento trecentesco-quattrocentesco, magari riadattato ai tempi». Su questo punto dello scritto, laddove lo “schizzo” del borgo di Gangi presente nella carta topografica di Andrea li Pani viene ritenuto dall'articolista come il prodotto di «un’ispirazione relativa a un modello topografico di riferimento trecentesco-quattrocentesco, magari riadattato ai tempi», occorre soffermarsi un attimo: avrà la bontà l’articolista di dirci quali sono i documenti che danno conferma a tale asserzione, poiché sarebbe straordinario disporre di “un modello di riferimento trecentesco-quattrocentesco” [ovviamente iconografico, dunque dipinto o disegno] che, temo, stia solo nella fantasia di chi lo propone.
- Detto questo, lo scritto dell’articolista continua sostenendo che «la cartina topografica del paese redatta dal Li Pani … rappresenta una torre attigua alla Matrice … evidenzia un edificio connesso architettonicamente alla Chiesa di San Nicolò (nello schizzo la Chiesa Madre è distinguibile per la cupola) che presenta la sommità terminante a punta triangolare o meglio conica o piramidale (così doveva essere nella realtà): sembra proprio la nostra torre campanaria. Si tratta di una cuspide cioè di un motivo architettonico sommitale terminante ad angolo acuto. Siamo dunque, in seno al concetto di pinnaculum e del suo sinonimo latino “fastigium”: … cosa di forma conica, piramidale o triangolare, che si restringe verso l’alto” … Le frequenti o ricorrenti scosse telluriche e gli agenti atmosferici, oltre a problemi strutturali inerenti la stabilità del nostro campanile, dovettero causare il crollo in epoca remota di un ipotetico originario pinacolo o guglia, cui dovette rifarsi l’aspetto sommitale della torre nel XIX sec.».
L’analisi del disegno porta l’articolista a riconoscere nella «cartina topografica del paese» del li Pani (ossia uno schizzo su una carta topografica a grande scala) la nostra torre con «la sommità terminante a punta triangolare o meglio conica o piramidale». A parte il fatto che nello schizzo mancano diversi particolari importanti del borgo (la torre cilindrica, la chiesa di Piedigrotta che pure ha il suo bel campanile con la guglia) e che per sua natura lo "schizzo" è un «disegno appena tratteggiato, abbozzato a grandi linee ... [e dunque] descrizione sommaria e rapida» (cito Treccani.it. L'enciclopedia italiana), quella che l’articolista indica come la torre della chiesa madre potrebbe essere benissimo invece il campanile della chiesa del SS. Salvatore con la sua bella guglia che, per la prospettiva e il punto di vista del disegno (che appare spostato verso sinistra), potrebbe coprire la torre della chiesa madre che invece non sarebbe rappresentata: come si vede non si può far fede allo “schizzo” di una carta territoriale, che in quanto tale costituisce descrizione sommaria e per niente fedele, per avanzare ipotesi di tal genere. Non è per niente certo allora che la torre con «la sommità terminane a punta triangolare o meglio conica o piramidale» disegnata dal li Pani sia «proprio la nostra torre campanaria» della chiesa madre, così come ipotizzato dall’articolista - informo peraltro l’articolista che del li Pani vi è un’altra carta topografica, la “Pianta Topografica del Territorio di Gangi con tutti gli Ex feudi”, senza data ma redatta in quegli stessi anni: qui mancano addirittura quasi tutte le chiese e pure la cupola della chiesa madre, proprio perché l’intenzione dell’autore non era quella di rappresentare il borgo di Gangi ma il suo territorio -.
A sostegno di quanto si dice, due altre vedute del borgo di Gangi (che l’articolista evidentemente non conosce o non prende in considerazione) dimostrano in maniera chiara e netta che nessuna «punta triangolare o meglio conica o piramidale», guglia o pinnacolo che dir si voglia, sormontava la torre della chiesa madre né nel XIX secolo nel secolo precedente. Un dipinto di autore ignoto delle Anime del Purgatorio conservato in chiesa madre, anno 1733, raffigura il borgo di Gangi dal punto di vista paesaggistico: si nota la chiesa con la sua cupola e accanto la torre senza alcuna guglia sovrastante. Un altro dipinto di autore ignoto presente nel salone del palazzo Mocciaro, databile allo stesso periodo delle carte del li Pani (cioè intorno al terzo decennio dell'Ottocento), raffigura ancora il borgo di Gangi in una bella prospettiva frontale: anche qui (e ancora meglio) si riconoscono la chiesa madre con la sua cupola e la torre accanto, torre che si mostra senza «la sommità terminane a punta triangolare o meglio conica o piramidale», anzi addirittura con l’ultimo piano semi diroccato, particolare che confermerebbe come nello schizzo del li Pani citato dall’articolista (coevo al dipinto che ho indicato) potrevve non essere raffigurata la torre della chiesa madre bensì il campanile della chiesa del SS. Salvatore.
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