La civiltà contadina fra storia e tradizione: il ciclo del grano

di Salvatore Farinella©, testo inedito tratto da Gangi. Il tempo della spiga. Tradizioni e memorie della civiltà contadina e della vita quotidiana nel borgo madonita. Abitudini, saperi, costumi, tradizioni popolari e gastronomiche, eredità materiali e immateriali fra Ottocento e Novecento (in corso di lavorazione)

Statuetta di Persefone, Museo Archeologico di Gangi (foto S. Farinella©)
Statuetta di Persefone, Museo Archeologico di Gangi (foto S. Farinella©)

«Alcuni poeti raccontano che in occasione delle nozze di Plutone e Persefone quest'isola fu donata da Zeus alla sposa come dono di nozze. Gli storici più autorevoli affermano che … la Sicilia per prima produsse il frutto del grano grazie alla fertilità della sua terra … Gli abitanti della Sicilia, avendo ricevuto per primi la scoperta del grano per la loro vicinanza con Demetra e Kore, istituirono in onore di ciascuna delle dee, sacrifici e feste …Fissarono, infatti, il ritorno di Kore sulla terra nel momento in cui il frutto del grano si trova ad essere perfettamente maturo. Scelsero per il sacrificio in onore di Demetra il periodo in cui si incomincia a seminare il grano» (1).

Secondo il mito, il grano in Sicilia apparve dunque in età molto antica e venne legato alla presenza di due divinità elleniche, Demetra e Kore: sostenne infatti ancora Diodoro che «se si facesse un’indagine sulla scoperta del grano, cioè in qual parte della terra esso sia apparso per la prima volta, è verosimile che si riconosca il primato alla terra più fertile [cioè la Sicilia]. Conformemente a quanto si è detto, è possibile constatare che le dee che hanno scoperto il grano sono straordinariamente venerate dai Sicelioti» (2). Perciò Demetra e Kore - Cerere e Proserpina per i Romani - vennero raffigurate con gli attributi del grano, le spighe e i falcetti, come può agevolmente notarsi nelle diverse figure coroplastiche conservante anche presso il Museo Archeologico di Gangi.

Se Diodoro Siculo fece dell’apparizione del grano in Sicilia uno dei principali miti dell’isola, non v’è dubbio che da tempo immemorabile quel grano è stato per le popolazioni della Terra fonte di sosten-tamento e in alcune circostanze anche fonte di ricchezza: il suo ciclo ha regolato anno dopo anno, secolo dopo secolo, la vita stessa dell’uomo e il “ciclo del grano”, cui è legata la civiltà contadina, ha stabilito “il ritmo del tempo nella Sicilia del feudo” (Massimo Ganci).

Rientrando nella Storia, secondo le ultime scoperte archeologiche, sembra che primi villaggi pre-agricoli siano sorti in una cultura chiamata “natufiana” tra il 12.500 e il 10.000 a.C. (3): ad Abu Hureyra - un villaggio agricolo pre-neolitico sull’Eufrate -, tra 11.000 e 10.000 anni prima di Cristo, i Natufiani raccoglievano cereali selvatici, come testimonia il ritrovamento di orzo, grano e lenticchie a Mureybet IA (Siria settentrionale), da-tabile al 10.500 a.C. (4). In Sicilia il prezioso cereale venne introdotto invece tra XI e IX secolo a.C. dai Fenici che lo portarono, insieme alla vite, dalla Palestina. Così attesta la maggior parte degli studiosi, che insistono nel sottolineare come la terra siciliana fosse particolarmente adatta a fare germogliare il seme e come - a dire degli antichi - essa fornisse altissime rese: cento volte il seminato nella piana di Lentini (Plinio), trenta nei dintorni di Milazzo (Teofrasto) o più realisticamente dieci volte il seminato (Cicerone) (5).

I documenti d’archivio dal Cinquecento in poi testimoniano in maniera molto evidente la vocazione agricola del territorio di Gangi e la grande produzione di grano delle campagne nel corso dei secoli: una vocazione già nota fin dalla prima metà del Trecento, come appare nella quietanza di Novello de Montonino nella quale il teritorio di Gangi fornisce divere salme di grano.

Se fin dall’epoca medievale il territorio era prevalentemente strutturato e suddiviso in feudi, in seguito chiamati latifondi, non mancavano tuttavia i piccoli appezzamenti di terreno coltivati a grano, a orzo o anche a vigneti e uliveti, con un pagliaio o una modesta casa colonica che consentivano alle famiglie più povere di sbarcare il lunario e di sostentarsi o più grandi appezzamenti con una fornita masseria nella quale lavoravano più persone.

La coltivazione più diffusa era evidentemente il grano, ‘u furmìntu, ma nelle campagne gangitane veniva coltivato anche l’ùriju (l’orzo) e il foraggio per gli animali, ‘a vèna (l’avena), ‘a vèccia (la veccia), ‘i fàfi (le fave) e così via.

 

Il cosiddetto “ciclo del grano” - ossia la sequenza di atti, manualità, attrezzi ma anche di preghiere riguardanti la coltivazione del frumento - è stato il modus vivendi che ha segnato ininterrottamente, dalla preistoria alla metà del Novecento, la società contadina siciliana e gangitana: una sequenza che aveva inizio dalla terra e dal chicco di grano e che si chiudeva in quel forno nel quale fino a non molto tempo fa - ma ancora oggi - le famiglie preparavano 'u pàni di casa.

Il ciclo obbediva a un preciso ritmo temporale, un vero e proprio calendario distribuito lungo tutta l’annata agraria, da settembre all’agosto successivo, legato agli eventi atmosferici ma anche alle credenze popolari e all’esperienza ed era scandito da una serie di lavori di preparazione del terreno: quindi giungeva alla raccolta e alla produzione di quel prezioso alimento - il grano, l’oro della terra - che costituiva la forma di sostentamento principale per le famiglie e motivo di arricchimento per i padroni.

Ripercorriamo dunque in sintesi il ciclo del grano della tradizione contadina di Gangi (con un occhio alla storia) con le sue diverse fasi, peraltro magistralmente rappresentate in un omaggio alla Sicilia contadina dal maestro Gianbecchina (Giovanni Becchina, 1909-2001), artista «al fianco della gente semplice, dei conta-dini soprattutto, consapevole dei loro drammi e delle loro fatiche» (Armando Nocentini).

 

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Note

 

1 - Diodoro Siculo, Biblioteca Historica.

2 - Ibidem

3 - La cultura natufiana o natufita fu una cultura mesolitica diffusa sulle coste orientali del Mar Mediterraneo e prende il nome dal sito dello Uadi el-Natuf (caverna di Shukbah) in Israele. È caratterizzata dalla creazione di insediamenti stabili prima dell'introduzione dell'agricoltura e fu probabilmente l'antenata delle culture neolitiche della regione, che sono ritenute le più antiche del mondo. Alcuni elementi permettono forse di riconoscervi il primo caso di coltivazione deliberata di cereali e cer-tamente faceva uso di cereali selvatici.

4 - Si veda D. S. Lenger, L’Oriente e le origini del neolitico, in Nutrirsi 6, Roma 2010, p. 42-45. Si veda anche T. Mollison, Le rivelazioni delle ossa di Abu Hureyra, in Le Scienze n. 314/1994, pp. 82-88.

5 - O. Cancila, La terra di Cerere, Caltanissetta-Roma 2001, p. 23.