Il castello dei Ventimiglia

di Salvatore Farinella©, tratto da I Ventimiglia. Castelli e dimore di Sicilia, edizioni Editori del Sole, Caltanissetta 2007, p. 197-211 (testo rivisitato)

Il testo che segue è adattato allo scopo di questo sito, per cui è stato ridotto di quei passi che trattano di argomenti correlati (Engyon, la presunta distruzione di Gangi, ecc.) ai quali si rimanda all'interno del sito stesso attraverso i relativi collegamenti.

Il castello dei Ventimiglia (foto S. Farinella©)
Il castello dei Ventimiglia (foto S. Farinella©)

La cittadina di Gangi sorge sul versante meridionale di un monte isolato, il Marone, a oltre 1.000 metri di altitudine: l'estesa montagna rappresenta l'ultima propaggine della vasta area geografica delle Madonie. Una stretta gola divide il monte Marone dal dirimpettaio monte San Calogero, punta iniziale di una catena montuosa che verso sud confluisce nei monti Erei. Dopo una di quelle tante curve che, sulla vecchia “statale 120” dell’Etna e delle Madonie, conducono da Palermo verso Catania attraverso le Madonie, arrivando dalle Petralie o da Geraci si presenta uno spettacolo affascinante: come una cascata di pietre, le case addossate le une sulle altre scendono dalla vetta dell’alto e isolato monte con uno scenario di eccezione sullo sfondo, il maestoso cono dell’Etna. Gangi si mostra così nella sua unicità, un colpo d’occhio raro da cogliere in tutta la Sicilia.

Sulla vetta della montagna risalta nitida e imponente contro il cielo la sagoma parallelepipeda del castello dei Ventimiglia, Conti di Geraci e signori di Gangi: più in basso, a circa un quarto del versante della montagna, si erge la sagoma di un’altra costruzione parallelepipeda, la torre detta dei Ventimiglia visibile per le sue bifore e monofore che sulla facciata creano un gradevole gioco di chiaroscuro.

Una lacunosa documentazione storica fa sì che le notizie sul castello (così come quelle sulla storia del centro abitato) non appaiano del tutto chiare: la carenza di documentazione dalla quale poter trarre più compiutamente fatti e avvenimenti porta a procedere più sulla via delle ipotesi che non sulle strade della cronaca documentata. Nonostante ciò nuovi elementi ci portano a formulare un'inedita ed originale ipotesi che, certamente, sconvolgerà il tradizionale modo di intendere la storia di questo centro madonita.

Benché alcuni autori la facciano risalire alla mitica città di Engyon fondata dalla gente cretese del re Minosse penetrata intorno al XII sec. a.C. nell’interno della Sicilia (1), così come riporta lo storico di Agira Diodoro Siculo, in effetti nessun dato certo ha fino ad oggi fatto luce sull'effettiva identificazione di Gangi con la città di origine cretese. Dell’epoca bizantina ed araba nessuna notizia sembra ricondurre direttamente a Gangi, il cui toponimo comincia a essere documentato solamente alla fine del regno di Ruggero II. Nessun conforto ci dà infatti la notizia - riportata dall’Amari - di guasti nell’881 al territorio di Bekara: lo studioso ne propone in maniera dubitativa l’individuazione con Vicari o con “un castel distrutto nelle vicinanze di Gangi”, lasciando incerta la conclusione pur ammettendo che quel centro doveva trovarsi in una zona di presidio bizantino (2).

Veduta di Gangi (foto S. Farinella©)
Veduta di Gangi (foto S. Farinella©)

La prima fonte idonea a restituire il nostro borgo a una dimensione storica è la descrizione delle terre abitate e della Sicilia compiuta nel 1154 e conosciuta come il Libro del Re Ruggero di Idrisi. Nella sua opera il geografo arabo fa riferimento a un castello, posto fra Petralia e Sperlinga, che sembra potersi identificare proprio con l’attuale centro abitato di Gangi (3). In un passo del suo atlante lo stesso Idrisi osserva che ad otto miglia da Petralia era posto Maqarah, “castello che racchiude palagi [ben] abitati; ha molti campi da seminagione e molte industrie. Da questo a Isb-rl-nkah [Sperlinga] dieci miglia per mezzogiorno”; descrivendo il fiume Salso in un altro brano della stessa opera l’autore precisa poi come “il capo e scaturigine del quale torna alla sa'ra nizar [la boscaglia di nizar], quella che sovrasta g.flah, paese che rimane discosto un miglio [dal fiume]”.

Se si tiene conto del fatto - come suggeriscono Amari e Schiaparelli - che la parola g.flah viene letta anche come gankah e che la sa’ra nizar corrisponderebbe all’odiena boscaglia in contrada Nasari, nei pressi di Gangi Vecchio, è possibile accettare l’ipotesi del Peri dell’esistenza di due centri abitati, il castello di Maqarah coincidente con l’attuale Gangi sul monte Marone e il casale di Gankah nella località Gangi Vecchio (4).

Se il toponimo Gankah ben richiama l’altro di Gangi Vecchio, quello di Maqarah sembra non potersi ritenere confacente al nome di Gangi: e così è in effetti, a meno di non pensare a un improbabile mutamento del toponimo da Maqarah in Gangi. La questione non pare tuttavia irrisolvibile: se - come appare dai documenti coevi del 1155, del 1182 e del 1195 - in questo periodo il nome della nostra cittadina è Gangi (in greco γαγγε), non rimane altra soluzione che pensare a un errore di Idrisi o dell’estensore del testo della sua opera. Esiste infatti in questo stesso periodo - fra Gangi e Sperlinga, e confinante con questi territori - un centro abitato (forse un borgo fortificato) che nei documenti viene indicato come Vaccaria (oggi contrada Vaccarra): sembra che con grande cautela possa qui indicarsi il sito dell’antica Imachara, un abitato di epoca classica ancora esistente in epoca medievale e poi scomparso. L’abitato di Vaccaria non viene tuttavia menzionato dal geografo arabo: pensiamo allora che esso sia stato “confuso” con il castello di Gangi e del resto da Maqarah a Vaccaria-Imachara il passo è breve.

Non è raro poi - com’è stato da più parti affermato - che in epoca medievale esistessero due insediamenti con lo stesso toponimo: il dato che ci sembra importante sottolineare è che la Gankah citata sotto la boscaglia di Nizàr possa essere identificata col modesto borgo di Gangi Vecchio, diverso dal castello di Maqarah che in effetti si chiamava Gangi e che pensiamo individuato nell’odierna cittadina sul Marone. Il primo venne distrutto durante la repressione anti-angioina del 1299, e dopo essere stato abbandonato assunse il toponimo "Gangi Vecchio"; il secondo continuò ad esistere come Gangi ed accolse gli abitanti del casale oramai distrutto.

L’assenza di Gangi nel diploma di istituzione della diocesa normanna di Troina del 1082 e la presenza in documenti del XII secolo - un diploma del luglio 1155 (5) e il documento dell’assegnazione del tenimento di Geraci alla contessa Guerrera de Creone del 30 aprile 1195 (6) con l’etimo nelle forme di Gangiam, Gangie, Gangia - ci fa credere che il borgo di Gangi sia stato fondato nell’attuale sito sul monte Marone proprio durante la campagna della conquista normanna, e comunque dopo l’istituzione della diocesi troinese.

 

... continua

Note

 

1 Cfr. fra gli altri F. Cluverio, Sicilia antiqua, 1659; V. M. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, Palermo 1855.; J. Berard, La Magna Grecia, Torino 1963; S. Nasello, Engio e Gangi, Palermo 1949; S. Nasello, L’inesplorato monte Albura o Albuchia, 1951; A. Holm, Geografia antica di Sicilia, 1871; E. A. Freemann, History of Sicily, Oxford 1891; G. Alessio, L’elemento greco nella toponomastica della Sicilia, in Bollettino Storico Catanese, Catania 1946/1947.

2. M. Amari, Biblioteca Arabo-Sicula, Torino-Roma 1880-81, I, p. 397. Il Maurici inserisce tuttavia Gangi in una vasta area fortemente islamizzata che dalle coste meridionali della Sicilia arrivava fino alle Madonie; cfr. F. MAURICI, Castelli medievali in Sicilia. Dai bizantini ai normanni, Palermo 1992, p. 19, 20 e p. 147.

3 Di questo parere sono I. PERI, I paesi delle Madonie nella descrizione di Edrisi, Palermo 1955, p. 633 e segg. e M. Amari, C. Schiaparelli, L’Italia descritta nel Libro del re Ruggero compilato da Edrisi, Roma 1883, p. 50 e segg..

4 Cfr. I. Peri, cit.

5 S. Cusa, I diplomi greci ed arabi di Sicilia, Palermo 1868, riportato in I. Peri, I paesi, cit. .

6 Cfr. E. Mazzarese Fardella, Il Tabulario BelmonteDocumenti per servire alla storia di Sicilia pubblicati a cura della Società Siciliana per la Storia Patria, diplomatica, serie I, vol. XXX, Palermo 1983, doc. n. 2, p. 5 e segg. .