Ancora sulla torre detta “dei Ventimiglia” a Gangi, sull’insistente “pinnacolo” e sui Gerosolimitani: una inedita novità. L’onestà intellettuale di chi scrive di storia patria: ecco come si usa scrivere la storia confondendo il lettore. Controrilievi a un articolo di Mario Siragusa ospitato su un sito “amico”
testo di S. Farinella in risposta a un articolo dal titolo "La torre dei Ventimiglia di Gangi: il pinnacolo, il campanile e la 'matrice' tra conti, Gerosolimitani e clero (sec. XIV). Rilievi a un articolo di Salvatore Farinella", giugno 2016
E ancora, sempre sul testo del Valenti, l’articolista omette volutamente (perché funzionale alla dimostrazione delle sue ipotesi) quanto scritto dall’architetto palermitano ossia, riferendosi anche alla torre di Nicosia, che «entrambe sorte come costruzioni civili le due torri divennero più tardi edifici religiosi e furono adattati a campanile» [7], che è esattamente quanto io vado sostenendo da diversi anni e che l’articolista (e ora anche suoi amici per ovvio spirito di parte) contesta senza mostrare il minimo documento (di qualsiasi natura esso sia) a favore delle proprie tesi, infarcite però di tanti “potrebbe”, “sarebbe” e con riferimento alla fantomatica “tradizione” - ecco cosa scrive ancora l’articolista a p. 29 di Studi Storici Siciliani: «La nostra torre è stata dunque di natura religiosa (campanile della Chiesa Madre e per qualche tempo sotto l’egida dei Cavalieri di Malta)» -. Salvo poi, chiedendo a me di fornire i documenti, fare riferimento alla «tradizione scritta ed orale» e ammettendo che «La tradizione gangitana la vuole [la torre] costruita dai Ventimiglia (Francesco Alaimo). Ciò è molto probabile, ma ad oggi non si trovano i relativi documenti coevi che attestino ciò» ! Un bell’esempio di logica, con il solito doppiopesismo: per la tradizione (Alaimo e, dunque, per estensione a l’articolista e i suoi amici) va bene l’ipotesi (“è molto probabile”) anche in assenza di documenti (“non si trovano i relativi documenti coevi che attestino ciò”), per altri invece no !
Un bell’esempio di scrittura «con senso di equilibrio e onestà intellettuale, allo scopo […] di recuperare parte di quella nostra conoscenza storica, fortemente convinti che ciò possa contribuire a far crescere l’autocoscienza del nostro passato ed avere una visione più organica del futuro».
Sui ripetitivi e direi ossessionanti argomenti relativi alla questione (le origini, le funzioni e le dinamiche relative alla torre, sul “pinnaculum” come guglia medievale, sulla lettura dello stemma presente sulla porta minore della chiesa madre di Gangi - veramente ridicola -, sugli «equivoci interpretativi di fonti d’archivio» a me imputati e il suo non conoscere la scrittura notarile, nonostante sia un “professionista”, e così via) rimando a quanto ho già scritto nel precedente articolo. E poi, come ho già proposto a qualcun’altro, io sono sempre disponibile al confronto pubblico, dove, come e quando si vuole.
Tanto basta, per ora.
Prima di chiudere quanto con pazienza (e stavolta davvero in estrema sintesi) ho dovuto porgere all’articolista - il quale sembra che fatichi a comprendere -, vorrei dare un consiglio a colui il quale ha ospitato nel proprio sito il “rilievo”, ossia a Francesco Paolo Pinello di cui un suo «amico antropologo e etnologo di origine statunitense e trapiantato in Canada» ha dato una originale teoria sulla fondazione di Gangi: non c’è bisogno di scomodare amici da così lontano per proporre altre ipotesi, basta farlo da sé mettendoci la faccia ! Del resto, «Gangi potrebbe essere stata fondata dal popolo nilotico dei Maasai africani» così come i Bongiorno potrebbero essere appartenuti al Ku-Klux Klan, oltre che essere filogiansenisti e massoni.
Chi si cimenta a scrivere di storia dovrebbe sapere che il grado di attendibilità di una interpretazione sta nella capacità di dimostrarla con argomentazioni valide e accettando il confronto (e non con i propri “desiderata”): riesce difficile comprendere perché l’ipotesi che i Bongiorno e tanti altri a Gangi fossero filogiansenisti e massoni possa andare bene (e fra qualche tempo vedremo come anche questa ipotesi sia piuttosto labile) e l’ipotesi di una possibile fondazione normanna di Gangi no ! In nessun documento è scritto che i Bongiorno furono filogiansenisti e massoni (anzi in un altro articolo proporrò documenti - pardon, mezzi fogliettini d’archivio - che sembrano dire proprio il contrario) ma solo nelle deduzioni di Pinello (legittime ma opinabili, sebbene egli le elargisca come dogmi). Esattamente come le mie ipotesi (altrettanto opinabili ma anch'esse legittime): sarà il confronto aperto e pubblico (qualora chi istiga sul web ne abbia il coraggio) a giudicare.
Sull’homo madoniensis letto dal sito amico dell'articolista come mia teorizzazione di un ceppo preistorico mi permetto di stendere un velo pietoso: anche i bambini sanno che “l’uomo di Neanderthal” prende “convenzionalmente” il nome dalla valle di Neande dove vennero ritrovati i suoi resti fossili, ma ciò non significa che egli fosse scritto all’anagrafe di quel luogo. Così come i bambini sanno che l’esemplare femmina di Australopithecus afarensis (afarensis=cioè proveniente dalla regione degli Afar) rinvenuto nel 1974 in Etiopia è stato “convenzionalmente” chiamato “Lucy” senza necessità di dimostrare che si chiamasse così (il nome peraltro è stato tratto da una canzone dei Beatles). Perché, dunque, gli abitatori preistorici delle Madonie di cui è dimostrata l’esistenza (bisognerebbe leggere di più !) non possono essere “convenzionalmente” chiamati homo madoniensis (madoniensis=proveniente dalla regione delle Madonie) ?
Le tradizioni culturali gangitane, quelle vere, sono certamente valide e vanno valorizzate: credo di averne dato ampia testimonianza nel corso delle mie pluridecennali attività (non so se qualcun’altro possa dire altrettanto). Io mi permetto da qualche tempo non di avere «l’ingenua pretesa di azzerarle completamente» come scrive Pinello (e voglio prendere per buono il senso positivo del termine “ingenua”), ma di rivedere quelle cosiddette “tradizioni” - a cui l’articolista e i suoi amici fanno ciecamente riferimento senza un minimo di atteggiamento critico o di confronto - che «appaiono, alla luce dell’indagine storica, il prodotto di vere e proprie ‘invenzioni’, secondo la formula utilizzata da E. Hobsbawm e T. Ranger in un saggio che ha avuto una grande influenza (The invention of tradition, 1983)»[8]: più volte e in più occasioni ho fatto emergere i limiti e gli errori (per non dire i raggiri) di tali “tradizioni”, e non «infondatamente [… e con] presunte e, assai volte, mai dimostrate o mal dimostrate erroneità» come sostiene in maniera sleale Pinello (che si documenta solo sulle cose che gli fanno comodo), ma con tanto di documenti che, mi rendo conto, al suo stile di ricerca e di fare “storia” non interessano affatto.
Note
[7] Ivi, p. 3.
[8] Cito, per la seconda volta a beneficio di chi non vuol comprendere, da L’enciclopedia italiana, sul sito www.treccani.it, ad vocem.