Ancora sulla torre detta “dei Ventimiglia” a Gangi, sull’insistente “pinnacolo” e sui Gerosolimitani: una inedita novità. L’onestà intellettuale di chi scrive di storia patria: ecco come si usa scrivere la storia confondendo il lettore. Controrilievi a un articolo di Mario Siragusa ospitato su un sito “amico”
testo di S. Farinella in risposta a un articolo dal titolo "La torre dei Ventimiglia di Gangi: il pinnacolo, il campanile e la 'matrice' tra conti, Gerosolimitani e clero (sec. XIV). Rilievi a un articolo di Salvatore Farinella", giugno 2016
A volte le circostanze ci portano a discutere nuovamente su certe questioni, nonostante si pensa di aver fatto tutto quello che si è ritenuto necessario per far comprendere ad altri che esistono altri punti vista: ma, evidentemente, non sempre si trova negli altri quella capacità di ascoltare altre voci oltre che la propria. Per ciò occorre avere molta pazienza e, come si fa con i bambini (molesti) cercare di imboccarli piano piano, senza spazientirsi. Dunque, mio malgrado, devo intrattenermi ancora una volta sulle insistenti e noiose, oltre che imbarazzanti (per chi le espone) riproposizioni di argomenti sulla torre detta “dei Ventimiglia” a Gangi, sul cosiddetto “pinnacolo”, sui Gerosolimitani: ma mi limito a un solo aspetto che fa emergere chiaramente come certuni credono di scrivere di storia traendo in inganno il lettore.
Non sono solito tornare su argomenti già trattati se non per aggiungere nuove notizie o nuovi elementi di riflessione, oppure per ribadire concetti già espressi che a taluni non risultano molto chiari e insistono nei propri pregiudizi senza accettare un pubblico confronto, o ancora per sottolineare la grande “onestà intellettuale” di chi si vanta di scrivere di storia patria con i crismi della verità assoluta. È a quest’ultima fattispecie che faccio riferimento, dopo l’ennesima (e direi insopportabile) tirata in ballo - e sempre con le medesime, fisse e vecchie argomentazioni -: ho perciò deciso di rispondere dimostrando come coloro che mi tacciano di ingenue pretese e di infondatezze usano in realtà scrivere la storia perfino ingannando il lettore [1].
Sono sempre stato convinto che chi scrive di storia, e soprattutto chi scrive di storia patria, debba tenere bene a mente alcune cose: il rispetto per il lettore, il rispetto per altri che analogamente scrivono di storia e che possono pensarla diversamente, la capacità di critica propositiva, la capacità di confronto, la capacità di discernere dal fatto storicamente accertato o accertabile dalla ricostruzione storica ipotetica, il coraggio di rivedersi e infine la correttezza e l’onestà intellettuale. Concetti semplici che indirizzano chi ha la passione - e la capacità - di “cercare” la storia e di proporla agli altri. Ecco di che si tratta.
Su Studi Storici Siciliani. Semestrale di ricerche storiche sulla Sicilia, Anno I, Fasc. I, dicembre 2014 (nato come bollettino della locale sede dell’Archeoloclub d’Italia) nell’articolo dal titolo “La torre dei Ventimiglia di Gangi il pinnacolo, il campanile e la ‘Matrice’ tra conti, Gerosolimitani e clero” a firma dell'articolista Mario Siragusa (lo stesso articolo che circola insistentemente da un paio d’anni, senza alcunché di novità) si legge, a p. 29, la seguente frase sulla torre di Gangi (cito testualmente):
«Una relazione della Soprintendenza ai Monumenti di Palermo redatta negli anni Venti del Novecento (relazione Valenti) attesta che nel secolo precedente le insegne dei cavalieri di Malta (stemma) erano ben visibili su un arco della torre campanaria in questione. Nel suo Ricordi di un viaggio in Sicilia (1908, p.81) l’autore del famoso e popolare Libro Cuore, il De Amicis, qualche tempo prima, a conferma di ciò, descrive il paese parlando della “torre dei Cavalieri di Malta” identificandola con il bello e maestoso campanile della Chiesa di San Nicolò: “Rapida sosta alla trecentesca Torre dei cavalieri di Malta, lenta e meditata alla Chiesa Madre: per il maestoso campanile a bifore del Trecento, per il capolavoro dello Zoppo di Gangi…”».
La citazione sarebbe dirimente se fosse vera, se cioè veramente De Amicis avesse visto con i propri occhi lo stemma dei Cavalieri di Malta sulla nostra torre, dandone testimonianza scritto nel suo libro: tuttavia mi sono chiesto se quei termini utilizzati dallo scrittore, quel “trecentesca Torre” e quelle “bifore del Trecento” (termini specialistici), le avesse davvero scritti il De Amicis del quale ignoravo una specializzazione in storia dell’architettura. La cosa mi ha un po’ insospettito a tal punto che ho provveduto ad acquistare il volumetto citato, piuttosto raro, al fine di verificare la fonte (come faccio sempre). La fonte acquisita è la ristampa del libro citato dall’articolista, sotto le indicazioni “Edmondo De Amicis, Ricordi d’un viaggio in Sicilia, Introduzione di Natale Tedesco, disegni di Monca Rubino, il Palindromo, Palermo 2014”.
Alla pagina 81, così come da indicazione bibliografica dell’articolista, non esiste alcuna frase “Rapida sosta alla trecentesca Torre dei cavalieri di Malta, lenta e meditata alla Chiesa Madre: per il maestoso campanile a bifore del Trecento, per il capolavoro dello Zoppo di Gangi…”: per maggiore scrupolo (e per fugare ogni dubbio, ritenendo che l’edizione di cui mi sono servito non coincidesse con quella a cui l’articolista fa riferimento e che dunque il numro di pagina potesse non corrispondere) ho riletto due volte l’intero testo del De Amicis (dall’inizio alla fine) e in nessuna pagina, in nessun rigo di quel testo esiste quella frase !
Dal che emerge che nel suo viaggio in Sicilia, di cui al volumetto pubblicato nel 1908, Edmondo De Amicis non mise mai piede a Gangi (altro che “Rapida sosta alla trecentesca Torre dei cavalieri di Malta”): il tour di De Amicis partì da Messina (dove egli era già stato da militare nel 1865) da cui raggiunse Palermo lungo la strada del mare, quindi proseguì verso la Sicilia orientale percorrendo lunghi tratti “in treno” e giungendo a Catania, in seguito si prolungò per Siracusa e infine ebbe termine ancora a Messina passando prima per Taormina [2]. Di un passaggio da Gangi e di una “rapida, lenta e meditata” sosta alla chiesa madre nessuna traccia: e men che meno accenno si fa alla "Trecentesca torre dei cavalieri di Malta" o al "campanile a bifore del Trecento".
Le questioni, allora, sono due: o l’articolista ha copiato male chi ha riportato quella frase (il quale a sua volta ha imbrogliato) e non si è preso la briga di verificare la sua fonte [3] (criterio piuttosto discutibile per chi crede di occuparsi di ricerca storica e si cita, fra l’altro, come «esperto scolastico di storia delle Madonie e dr. di ricerca» tacciando me di essere semplicemente «un articolista locale», ma certamente non mediocre come lui) oppure, cosa assai più grave, pur di dimostrare l’indimostrabile è ricorso a un cambio di carte in tavola sviando e confondendo il lettore e propinando notizie arbitrarie [4].
Leggo a questo punto con una certa amarezza quanto viene scritto sul “Editoriale. Il perche di questa rivista” del primo numero di Studi Storici Siciliani (ampiamente presentato in lungo e in largo, oggetto di molti articoli su testate giornalistiche che indicavano come esso «si inserisce nel panorama culturale siciliano entrato quasi in punta di piedi, timido e silenzioso, per non disturbare la sonnolenza di un settore che vive solo di passato, in tutti i sensi» [5] !) a proposito di uno strumento (Studi Storici Siciliani) nato «contro le interpretazioni strumentalmente ideologizzanti a cui spesso siamo abituati» e «con senso di equilibrio e onestà intellettuale, allo scopo, nel nostro piccolo, di recuperare parte di quella nostra conoscenza storica, fortemente convinti che ciò possa contribuire a far crescere l’autocoscienza del nostro passato ed avere una visione più organica del futuro».
Riguardo all’altra citazione - la relazione di Francesco Valenti, l’architetto che si occupò del restauro della torre nella prima metà del Novecento -, vero è che il Valenti scrisse che nella torre «si vedevano fino a un mezzo secolo addietro le insegne dei Cavalieri di Malta» - ipotesi dedotta e non verificata dallo stesso Valenti che mezzo secolo prima di quando scriveva (1921) aveva l’età di appena 3 anni (essendo nato nel 1868), e dunque ipotesi opinabile, come si vede chiaramente dalla foto sopra riportata risalente ai primi decenni del Novecento -, ma l’articolista omette che lo stesso architetto proseguiva scrivendo che «però a ben ragione si può ritenere che queste [insegne] siano state apposte molto tempo dopo della costruzione della torre medievale» [6], con ciò indicando che la torre non fu propria dei Cavalieri di Malta come invece sostenuto dall’articolista senza la minima prova concreta, senza il minimo documento («potrebbe essere passata per donazione o per concessione regia, in seguito a una confisca dei beni nella quale più volte i turbolenti conti di Geraci incapparono nel medioevo, ai cavalieri gerosolimitani (magari prima del 1560-80)», scrive l’articolista senza nemmeno sforzarsi di sapere quando i Ventimiglia “incapparono” nella confisca dei beni).
Note
[1] Mi sono astenuto dal rispondere ai precedenti, continui articoli (per la verità è sempre lo stesso, ripetitivo, senza ulteriori elementi di novità) che Siragusa va riproponendo qua e la con la sponda degli amici: ma, vista l’insistenza e la continua provocazione da parte sua e dei suoi amici, credo opportuno fare emergere un aspetto inedito dell’articolista, tanto per fare chiarezza.
[2] Per una maggiore verifica si legga, oltre al volumetto del De Amicis, anche l’articolo “Ricordi d’un viaggio in Sicilia”: il diario siciliano di Edmondo De Amicis di Antonino Cangemi, 14 Maggio 2015, sul sito www.sicilypresent.it.
[3] Varie volte ho dimostrato, e non «infondatamente [… e con] presunte e, assai volte, mai dimostrate o mal dimostrate erroneità», gli errori e i falsi della cosiddetta “tradizione scritta e orale” a cui l'articolista e i suoi amici fanno riferimento: una per tutte l’inserimento dell’improbabile toponimo Gancius nel diploma di fondazione della diocesi normanna di Troina (1082) da parte di Francesco Alaimo. Basta verrificare (come io ho fatto) le diverse edizioni di quel diploma per accorgersi dell’imbroglio.
[4] Non credo che l’edizione del libro di De Amicis che ho consultato sia ridotta o manchevole di qualche parte: nel caso in cui dovessero mostrarmi un’altra edizione con riportata la frase indicata sarà mia cura fare ammenda.
[5] G. De Francesco, Nasce Studi Storici Siciliani, su «Visioni di Oggi. Il giornale che parla di Gela e del mondo», 19 marzo 2016, sul sito www.visionedioggi.it.
[6] F. Valenti, Progetto dei lavori strettamente necessari per consolidare e per coprire la torre campanile della madre chiesa San Nicolò in Gangi, 27 dicembre 1921, ms. Biblioteca Comunale di Palermo, 5Q E 142 n. 1 c (le indicazioni archivistiche sono quasi sempre omesse o indicate parzialmente dall'articolista.