La torre detta "dei Ventimiglia" a Gangi fra "pinnaculum", Cavalieri di Malta e altri abbagli storici, passando dalla fondazione di Gangi e da uno stemma araldico di stravagante lettura: risposta a Mario Siragusa su discutibili, presunte "certezze" - 3^ Parte
di Salvatore Farinella©, testo inedito - dicembre 2014
7 - Sull’ospedale
- Scrive ancora l’articolista che «chi ritiene improbabile la tesi di un pinnacolo o guglia presso la “Matrice” di Gangi [ossia lo scrivente], ammette però la possibilità che un imprecisato “pinnaculum” di un “hospitale”, di cui si parla in un documento benedettino del 1366, possa interpretarsi come guglia». Solita lettura parziale da parte dell’articolista di questa mia frase: «una prima presenza del termine la ritroviamo nel documento col quale, nel 1366, l’Arcivescovo di Messina affida ai Benedettini di Gangi Vecchio l’«oratorium s(anc)ti Petri» (l’odierna chiesa della Badia) e una casa «sita jux(te) pinnaculium hospitalis»: in questo caso il vocabolo potrebbe riferirsi tanto a una guglia quanto a una torre di pertinenza dell’ospedale», dunque un’ipotesi aperta che non esclude l’una o l’altra soluzione rispetto al discorso che avevo fatto precedentemente sul termine "pinnacolo".
- Riguardo all’argomento “ospedale” la confusione dell’articolista è evidente e nasce, ritengo, dalla approssimazione con la quale chi non si è mai occupato di storia urbana si approccia a tali studi e alle dinamiche sottese alla ricostruzione degli antichi rioni del borgo, nonché dalla scarsa conoscenza dei documenti, della cronologia degli avvenimenti e della localizzazione delle strutture nel tessuto urbano.
Riporta infatti l’articolista «che i documenti ci parlano di un pinnacolo e di un quartiere detto dell’ospitale associati ed entrambi riconducibili alla medesima Chiesa Madre e/o o alle sue adiacenze (‘500-‘600). Solo in quest’area e caso, secondo le fonti, troviamo a Gangi l’associazione o compresenza dei due termini. Guarda caso un pinnacolo ed un ospedale, anticipati dalla fonte trecentesca citata, sono entrambi segnalati dalle fonti successive proprio (e, pare, solo) nei pressi della Chiesa Madre: “q(uarte)ri dell’ospitale seu sotto della Matrice Ecc.(lesi)a” (1683). Una nuova denominazione (quartiere dell’ospitale, si noti come un simile toponimo a Gratteri indicasse il quartiere dei Cavalieri di Malta) che dovette sostituire quella di quartiere del pinnacolo della Chiesa Madre. Potrebbe trattarsi forse delle identiche e medesime strutture architettoniche in questione segnalate in due differenti fasi cronologiche dalle fonti, vale a dire l’anonimo pinnaculum dell’ospitale del Trecento potrebbe essere il medesimo di quello citato dalle fonti cinquecentesche-secentesche chiaramente riferite alla Matrice (in alternativa il riferimento può riguardare il SS.mo Salvatore, dove però esplicitamente i documenti medievali non indicano la presenza di una guglia; e nei documenti si fa riferimento solo alla Chiesa Madre non all’altra chiesa appena citata».
- A parte l'omissione della fonte archivistica che, a dire dell'articolista, parlerebbero del pinnacolo e del quartiere dell'ospedale "associati" e che solo in quest'area darebbero «l'associazione o compresenza dei due termini», se leggo correttamente, secondo quanto scrive l’articolista, l’ospedale documentato nel 1366 accanto alla Badia (come da mia segnalazione) sarebbe da identificare con l’ospedale che nel Cinque e Seicento egli ritiene connesso alla chiesa madre o, “in alternativa” (come se la scelta fosse ammissibile), alla chiesa del SS. Salvatore. Per chi conosce la struttura urbana di Gangi, una tale asserzione appare quanto mai impraticabile: come è possibile ipotizzare che si possa trattare «delle identiche e medesime strutture architettoniche»? Come si può affermare che «l’ospitale del Trecento potrebbe essere il medesimo di quello citato dalle fonti cinquecentesche-secentesche chiaramente riferite alla Matrice (in alternativa il riferimento può riguardare il SS.mo Salvatore)»? Come può una struttura andare bene, indifferentemente, per la chiesa madre, per la chiesa del Salvatore o per la chiesa della Badia, poste rispettivamente a qualche centinaio di metri l’una dall’altra?
Le carte d’archivio ci dicono che a Gangi gli “ospedali” (intesi nella loro duplice natura di strutture per l’ospitalità e di strutture per la degenza e l’assistenza socio-sanitaria) erano almeno cinque, non tutti contemporanei e distinti l’uno dall’altro: uno è da individuare alla contrada Piano Ospedale, per il quale ho già scritto più volte trattarsi di un hospitale per pellegrini di età medievale; un secondo era quello annesso (questo sì) alla chiesa del SS. Salvatore (non quella odierna, che allora era chiesa di San Filippo, ma quella del Salvatore Vecchio, vicino al Carmine, e non più esistente), documentato alla fine del Trecento; un terzo era quello documentato nel 1366 nella donazione dell’oratorio di San Pietro (la futura Badia) ai Benedettini; un quarto era l’ospedale della Compagnia di Bianchi o del Monte di Pietà, documentato dalla seconda metà del Cinquecento accanto al convento del Monte; infine un quinto ospedale anch’esso documentato dalla fine del Cinquecento era quello annesso o comunque dipendente dalla chiesa di Sant’Antonino, quella che ha dato il nome alla via Grande Sant’Antonino che attraversava il quartiere omonimo (tutto ciò è materia di un mio studio dal titolo Quasi dirutta et in ruynam. Chiese e ospedali scomparsi a Gangi nelle testimonianze documentali fra XII e XVIII secolo, in corso di pubblicazione).
L’ospedale a cui si riferisce l’articolista è proprio quest’ultimo, posto un centinaio di metri più sotto della chiesa madre ma che non è mai stato adiacente o correlato alla matrice. Si comprende benissimo come l’ospedale del documento del 1366 (quello accanto alla Badia) non possa identificarsi con l’ospedale delle fonti cinquecentesche-seicentesche “riferite alla matrice”, per ovvie ragioni storico-documentali e soprattutto di dislocazione nella struttura urbana: l’uno è infatti distante dall’altro qualche centinaio di metri.
Due altre brevi annotazioni, per un argomento così complesso che non può essere certo trattato con gli spazi di un articolo, sono d'obbligo. La locuzione «q(uarte)ri dell’ospitale seu sotto della Matrice Ecc.(lesi)a» (quartiere dell’ospedale o sotto la madre chiesa, di cui l’articolista omette come spesso avviene il riferimento alla fonte) che si trova in taluni documenti non significa necessariamente che le due entità coincidono, anzi: a quell’epoca si dichiarava di abitare in un rione o in un altro in prossimità di esso, senza che le strutture che davano il nome ai due rioni contermini potessero fisicamente confondersi. Così ritroviamo nei documenti del medesimo periodo (atti notarili e riveli delle anime e dei beni dal Cinquecento al Settecento) medesime locuzioni: per esempio il q(uarte)rio ven(erabi)lis ecc(lesi)e sa(nc)ti jois baptiste seu ven(erabi)lis ecc(lesi)e s(anc)ti viti (ASCG, Fondo notai defunti, atto del 21 aprile 1657, notaio Antonio di Marco ?, vol. III F 2 (2), c. 204) non significa che la chiesa di San Giovanni Battista era attaccata alla chiesa di San Vito o che il primo quartiere si identificava nel secondo; il q(uarte)rio pub(lice) Platee seu suptus castrum terre (ASCG, Fondo notai defunti, atto del 2 febbraio 1601, notaio. Egidio di Salvo, vol. IF4-1, c. 222) non significa che pubblica piazza e castello coincidessero o fossero riconducibili l’uno all’altro; o ancora il q(uarte)rio forgiorem seu ven(erabilis) hospitalis (ASCG, Fondo notai defunti, atto del 2 maggio 1603, notaio Egidio di Salvo, vol. IF5 (ES r3), c. 236 r-v), non vuole dire che l’ospedale sia “riconducibile” alle forge che davano il nome al rione.
È poi assolutamente infondata l’interpretazione libera dell’articolista secondo la quale la denominazione “quartiere dell’ospedale” «dovette sostituire quella di quartiere del pinnacolo della Chiesa Madre»: entrambi i quartieri sono ampiamente attestati contemporaneamente dai documenti d’archivio (atti notarili, riveli) negli stessi periodi storici e come entità urbane diverse, l’uno il quartiere della pinnata-pinnaculum, l’altro il quartiere dell’ospedale. E dirò di più: dalle fonti si ricava anche l’esistenza contemporanea del quartiere della piazza e del quartiere della chiesa madre San Nicolò, a testimoniare come ogni persona si sentiva di appartenere a questo o a quell’altro quartiere, pur gravitando i due quartieri nel medesimo ambito urbano.
8 - Sui Cavalieri di Malta
- Scrive l’articolista che «la nostra torre è stata dunque di natura religiosa (campanile della Chiesa Madre e per qualche tempo sotto l’egida dei Cavalieri di Malta)»: e ancora che «la torre campanaria, questo sappiamo con ragionevole certezza sulla base della documentazione a nostra disposizione, è stata campanile della Chiesa Madre e, per qualche tempo, appannaggio dei Cavalieri di Malta … Dai Ventimiglia (se non è stata ex originis di proprietà di quell’ordine cavalleresco) potrebbe essere passata per donazione o per concessione regia, in seguito a una confisca dei beni nella quale più volte i turbolenti conti di Geraci incapparono nel medioevo, ai cavalieri gerosolimitani (magari prima del 1560-80) e poi al clero locale».
- Anche queste affermazioni dell’articolista risultano elaborate in assenza totale di documentazione storica, e neppure come mera ipotesi esse risultano accettabili: senza dire che lo stesso articolista entra in palese contraddizione, affermando prima che la torre è esclusivamente religiosa e in origine esclusivamente feudale dei Ventimiglia e poi che potrebbe essere "ex originis" di proprietà dell’Ordine Gerosolimitano o, in alternativa, passata ad esso per donazione o concessione regia o confisca dei beni, circostanze peraltro assolutamente non documentate.
A sostegno delle proprie affermazioni, oltre alla “tradizione” (invenzione) del Nasello secondo cui la torre sarebbe stata donata ai Cavalieri di Malta nel 1535 da Carlo V, l’articolista porta l’avallo di due citazioni: una è la già citata relazione di restauro della torre di Francesco Valenti (1868-1953, Soprintendente ai Monumenti per la Sicilia) di cui ho dato ampie notizie in altri miei scritti, nella quale (secondo quanto riporta l'articolista) il restauratore attesterebbe «che nel secolo precedente [l’Ottocento] le insegne dei Cavalieri di Malta (stemma) erano ben visibili su un arco della torre campanaria in questione»; l’altra è uno scritto di Edmondo de Amicis (autore del libro Cuore) intitolato Ricordi di un viaggio in Sicilia (Catania 1908) che attesterebbe una sua visita a Gangi e una descrizione della «trecentesca Torre dei cavalieri di Malta, lenta e meditata alla Chiesa Madre: per il maestoso campanile a bifore del Trecento, per il capolavoro dello Zoppo di Gangi». Citazioni che secondo l’articolista chiarirebbero «la paternità della torre secondo quanto raccolto a Gangi dalla memoria storica locale del tempo».