Il ritorno delle ore. Il ripristino di due orologi pubblici a Gangi in un documento del 1789

di Salvatore Farinella©, pubblicato in Le Madonie, n. 4, 2002

Quella di percepire il lento trascorrere del tempo fu una necessità avvertita da sempre. Da tempi immemorabili l’accennamento delle ore fu garantito dal rintocco delle campane delle chiese che, nel corso della giornata, chiamavano a raccolta i fedeli per le sacre funzioni: dal mattutino ai vespri le liturgie regolavano la vita cittadina della maggior parte della popolazione. Nelle campagne invece, dove l’eco delle campane si perdeva tra i soffi del vento, il tempo era scandito dal sorgere e dal tramontare del sole, malgrado ciò non consentisse una perfetta percezione delle ore. Solamente nei conventi le meridiane segnavano con estrema esattezza l’incedere del tempo.

Ma quella scansione dettata solamente dai servizi religiosi alla gente non bastava; il non potere percepire l’esatto scorrere delle ore rendeva monca la vita quotidiana, sebbene questa non fosse poi così frenetica. Sarà stata una considerazione analoga a far nascere nell’animo dei Giurati di Gangi, e dell’intera popolazione, la voglia di sentire lo scorrere del tempo ad ogni istante, quel tempo che per alcuni non bastava mai mentre per altri era fin troppo lento: per i ricchi, per esempio, il problema tempo non si poneva affatto, potendo contare su preziosi orologi da taschino o su macchinette segnatempo da salotto, ma soprattutto potendo gestire il proprio tempo a piacimento. Il problema era, evidentemente, per il resto della popolazione.

La torre della chiesa madre e l'orologio nei primi del Novecento (cartolina archivio S. Farinella©)
La torre della chiesa madre e l'orologio nei primi del Novecento (cartolina archivio S. Farinella©)

Non sappiamo quando e in che modo (sebbene abbiamo notizie fin dal Seicento), ma è certo che nella seconda metà del Settecento la popolazione gangitana si era già dotata di orologi pubblici che, finalmente, rintoccavano le ore per tutto il paese giungendo l’eco fino alle più lontane campagne: già, perché non uno solo ma almeno due erano gli orologi collocati in tal maniera da coprire, con i loro rintocchi, quelle parti di abitato dove l’eco dell’uno non poteva arrivare.

"Trovandosi il paese situato in un monte e non potendosi sentire un solo orologio per tutto il paese perciò ci bisognano due orologi", avevano decretato le autorità cittadine.

Quello principale fu posto allora nel campanile della parrocchiale chiesa madre, quel campanile che un tempo, isolato dal resto delle fabbriche, era stata la torre civica nella piazza del paese: l’orologio qui collocato aveva un meccanismo a quattro registri.

L’altro orologio pubblico fu posto invece nel campanile dell’antica chiesa di Santa Maria della Catena, più a monte rispetto alla prima, ed era del tipo alla spagnuola.

Chissà che meraviglia per i cittadini poter sentire durante il giorno, ma anche la notte, il rintocco delle ore, delle mezz’ore e perfino dei quarti: poter percepire finalmente lo scorrere del tempo in tutta la sua interezza. Ma chissà quale altra meraviglia poter constatare che quello stesso tempo poteva essere perso nuovamente: già, perché quei complicati meccanismi necessitavano di continua manutenzione, di corde, di olio e soprattutto di un esperto addetto al loro funzionamento.

Ora avvenne che, forse a causa delle continue spese necessarie a tale funzionamento, i due orologi furono abbandonati e ridotti in rovina: vuoi perché l’Università (così allora si chiamava l’amministrazione civica) non era in grado di mantenere quell’onere di manutenzione (giacché da sempre le casse pubbliche sono state semivuote) soggiacendo alle ingenti spese dei continui acconci, vuoi perché la regolazione dei meccanismi era affidata a un inesperto mastro ferraio con il misero salario di 4 once annuali per mancanza di un esperto orologiaio che governasse i pubblici orologi, fatto è che gli abitanti di Gangi perdettero nuovamente l’accennamento delle ore.

Il disagio della popolazione crebbe di anno in anno, fino al punto tale da indurre i Giurati a mettere fine alla questione e a correre ai ripari; del resto, ridare ai cittadini la misura del tempo avrebbe sicuramente accresciuto i consensi verso quella classe dirigente che in quel momento si trovava ad amministrare la città.

Fu così che verso la fine del mese di dicembre del 1788 i notabili della cittadina decisero di provvedere. Per prima cosa venne interpellato un esperto orologiaio e perito, individuato nella persona di don Nicolò Patti della vicina città di Nicosia.

Altro orologio nella torre della chiesa madre agli inizi del Novecento (cartolina archivio S. Farinella©)
Altro orologio nella torre della chiesa madre agli inizi del Novecento (cartolina archivio S. Farinella©)

Costui sembra che fosse una vera autorità in materia, sebbene sia possibile arguire che tuttavia non avesse gran che da lavorare nella sua città di residenza: infatti, insieme alla sua relazione di perito con la quale individuava tutto l’occorrente per rimettere in sesto i due orologi per la spesa complessiva di 14 onze, il buon orologiaio metteva a disposizione dei Giurati gangitani anche la sua esperienza per il governo dei due meccanismi per i successivi dieci anni, per il salario di 14 onze annuali e dichiarandosi perfino pronto a trasferirsi con la propria famiglia in quel di Gangi.

La cosa piacque alle autorità cittadine ma, purtroppo, si poneva un problema di ordine pratico: dove reperire i fondi per affidare l’incarico al Patti, considerato che il salario del precedente orologiaio ammontava a sole 4 onze annuali.

Nei primi giorni di gennaio del 1789 si decise dunque di chiedere al Maestro Razionale del Regno e al Tribunale del Real Patrimonio l’autorizzazione a prelevare 8 onze l’anno (da agiungersi alle 4 onze già stabilite per il funzionamento dei pubblici orologi) dai "suprabondi liberi del civico patrimonio dell’Università", ossia dalle rendite provenienti dai terreni comunali: nella richiesta venne sostenuta la necessità che venissero ripristinati i due orologi, necessari alla popolazione per seguire il trascorrere del tempo e che gli stessi venissero governati da un esperto orologiaio.

Dal canto suo il Principe di Caramànico, Maestro Razionale del Regno, con una lettera si disse disposto ad accogliere l’istanza che però avrebbe dovuto essere formulata dal Consiglio cittadino appositamente congregato: così rispose il nobiluomo, dall’alto della sua carica, il 16 gennaio.

Era solito infatti riunire i rappresentanti del popolo allorquando bisognava prendere decisioni che interessavano l’intera comunità: e quella del ripristino dei due pubblici orologi, secondo il punto di vista del Principe, era di interesse generale considerato anche che si andava ad incidere sulle rendite comunali.

La riunione del Consiglio civico venne fissata per il 22 marzo seguente; in quell’occasione il Capitano di Giustizia della città di Gangi, don Carmelo Milletarì, lesse al Consiglio riunito sotto la pennata della chiesa madre la relazione di don Nicolò Patti e invitò i consiglieri (in numero di 33, compresi lo stesso Capitano, il Sindaco e i Giurati) a discutere e determinare l’aumento del salario per l’orologiaio e, dunque, il ripristino della misura del tempo.

La perdita dei due orologi, verificatasi oramai da alcuni anni, aveva portato tutti i cittadini a considerare quanto fosse importante e prioritario quell’argomento, tant’è che la decisione del Consiglio fu assunta con unanime consenso: fu deciso dunque di prelevare dal patrimonio dell’Università le 14 onze necessarie per riparare i due orologi e, poiché non vi era a Gangi persona abile a poter tirare detti orologi, si stabilì di assegnare all’orologiaio nicosiano il compenso di 14 onze annuali (12 onze quale onorario, incluso l’antico salario di 4 onze che si dava al precedente orologiaio, e 2 onze per i ripari agli orologi da farsi durante l’anno).

Firmatari della risoluzione, oltre ai Giurati, al Sindaco e al Capitano di Giustizia, furono l’Arciprete don Giuseppe Vigneri, il notaio don Mario di Chiara e il Capo Mastro don Mariano Castello, impegnato costui in quegli stessi anni nella realizzazione degli stucchi nella chiesa dello Spirito Santo.

La decisione del Consiglio venne inviata al Principe di Caramànico il quale, con decreto del 5 giugno 1789, diede il proprio consenso per il prelievo delle somme a favore del ripristino dei due orologi, consenso che venne affisso nella Corte Giratoria di Gangi il 17 giugno seguente.

Con un contratto stipulato il 19 giugno 1789 (1) don Nicolò Patti della città di Nicosia, maestro orologiaio e perito, si impegnò con i magnifici Giurati di Gangi don Serafino Miserendino, don Pasquale Muccio, don Giuseppe Centineo e don Fortunio Ventimiglia e con il Sindaco don Baldassarre di Salvo ad assumere l’incarico di direttore ossia governatore dei due orologi pubblici, obbligandosi a renderli perfettamente funzionanti e a farli suonare sia di giorno che di notte.

I Giurati, dal canto loro, si impegnarono con il Patti a fornire le corde e l’olio necessari per rendere i due orologi sonanti; inoltre, allorquando la casa giuratoria (oggi diremmo il municipio) in costruzione sarebbe stata ultimata, don Nicolò Patti avrebbe avuto assegnati anche due corpi (stanze) per farne propria abitazio- ne, per sé e per la sua famiglia, per un periodo di dieci anni a partire dal 1° settembre 1789.

Fu così che, dopo anni di abbandono e di silenzio, i due orologi della chiesa madre e della chiesa della Catena ripresero nuovamente a funzionare e a segnalare alla popolazione gangitana, con i loro rintocchi, il ritorno delle ore.

 

Note

 

1 Il documento in questione è un contratto d’opera per il funzionamento degli orologi pubblici in data 19 giugno 1789, conservato presso l’Archivio di Stato di Termini Imerese, Fondo notai defunti, notaio Mario di Chiara, vol. 7110, c. 362-371.