Maggio 1299. L'assedio di Gangi
di Salvatore Farinella©, pubblicato in Le Madonie, n. 7, 1999 (testo rivisitato)
Ancora oscura, dopo 700 anni, la vicenda sulla distruzione della cittadina madonita
In un clima di ricorrenze varie su centenari veri, presunti o addirittura appositamente costruiti, non può non inserirsi una vicenda storica che, allo scadere del
secondo millennio, da ben sette secoli aspetta ancora di essere chiarita, se non altro per un corretto recupero della memoria di una comunità. Sembra infatti che non siano bastati 700 anni per
verificare, alla luce di (trascurate) ricerche documentarie e di (inesistenti) indagini sul territorio, cosa sia successo alla cittadina di Gangi nella primavera del 1299, quando cioè, per un
rigurgito filoangioino sulla scia della rivolta del Vespro, l'allora sovrano di Sicilia, Federico III (II d'Aragona) insieme con i signori del luogo, gli immancabili Ventimiglia conti di Geraci,
mise a ferro e fuoco il nostro e altri centri siciliani dove veniva alimentata la rivolta anti aragonese. Nel rispetto della Storia appare dunque doveroso ricordare l'evento, considerato che oggi
sembra essersi persa la memoria di questi avvenimenti e l'interesse per i proprio passato.
Nonostante la vicenda legata ai fatti del 1298/1299 in se possa essere considerata dolorosa, paradossalmente è da questo episodio che, a dire di tanti, sembra rinascere il nuovo centro abitato di Gangi (l'attuale) per volontà, o comunque con il consenso, del suo signore feudale, Enrico Ventimiglia Conte di Geraci. A partire da questo evento in poi, infatti, topografi ed eruditi distingueranno l'etimo della nostra cittadina in Gangi vetus oppidum (vecchio castello di Gangi) e in Gangi novum oppidum (nuovo castello di Gangi), cristallizzando di fatto il riconoscimento di un avvenimento storico di portata principale per la storia delle Madonie.
La vicenda è quella relativa ai fatti svoltisi fra l'inverno del 1298 e la primavera del 1299, quando la cittadina madonita di Gangi, insorgendo insieme ad altri centri contro re Federico III, e di conseguenza contro i Ventimiglia, poneva le premesse di un rinvigorimento delle ostilità mai placate dai tempi del Vespro.
Riportata da alcuni cronisti (1), la ribellione dei nobili di Gangi si colloca nel quadro che vedeva gli Angioini puntare alla riconquista della Sicilia attraverso
un piano che prevedeva il dilagare della rivolta e dell'insurrezione di alcune città siciliane, così come era stato per i Vespri del 1282. Insieme a Petraperzia, il borgo di Gangi era uno dei
capisaldi dell'insurrezione (2) che veniva fomentata da alcuni nobili della fazione angioina presenti nella cittadina madonita: Tommaso da Procida, comandante delle truppe angioine,
Bertran de Canelles, Giovanni de Barresio, Pier de Montagut e Bernardo de Paravola.
Schieratosi dalla parte degli insorti, dal mese di marzo del 1299 il borgo di Gangi resistette agli assedi guidati da Enrico Ventimiglia e dal giustiziere del Regno Matteo da Termini. Ma verso la fine di maggio dello stesso anno, assediata dalle truppe di Federico III accampate nei pressi, alla cittadina venne posta la resa, quasi contemporaneamente a Petraperzia assediata dal conte Manfredi Chiaramonte, con la garanzia per la vita e i beni di coloro che la difendevano.
Stando alla tradizione storiografica e a quanto riportano i cronisti, il borgo di Gangi venne raso al suolo fino alle fondamenta: ma la sorte alquanto mite serbata da re Federico ai fautori della ribellione, ai cavalieri e fanti al loro servizio, come traspare dal documento della resa, farebbe pensare a una soluzione diversa della questione.
Le cronache riportano che il Sovrano unì in modo esemplare gli abitanti di Gangi: secondo gli storiografi infatti, la collera di re Federico si abbattè sull'abitato che venne raso completamente al suolo, tanto da costringere gli abitatnti a mutare sito e a ricostruire un nuovo abitato in un altro luogo (l'attuale). Così scrisse infatti nel XVI secolo Tommaso Fazello il quale, sostenendo che Francesco Ventimiglia signore di Gangi si era ribellato al Sovrano (ma errando, in quanto signore di Gangi era Enrico Ventimiglia il quale peraltro era molto legato a Federico III), asserì che l'abitato "... fu rovinato insin da' fondamenti ...": e così riprese anche Vito Amico nel XVIII secolo che, sulla scia della medesima tesi, riportò come il Sovrano "... funditus opidum anno MCCXCIX excisum voluit ..." e come "... cives hinc in proximum collem migrantes novum opidum condidere ..." (3).
Sebbene a partire dal Cinquecento gli storiografi abbiano trasmesso alla posterità la "leggenda" della distruzione di Gangi (ritenuta esistente in località Gangi Vecchio, pochi chilometri a sud rispetto all'odierno abitato) a opera di Federico re di Sicilia e la conseguente ricostruzione del borgo sul Monte Marone, dove attualmente si trova, tuttavia un documento delal fine di maggio del 1299 sembra gettare nuova luce sugli avvenimenti e rimettere in discussione l'intera vicenda. Col documento in questione, datato 24 maggio 1299, il Sovrano dettava infatti i patti di resa agli assediati di Gangi e lo stesso documento testimonia il magnanimo atteggiamento di re Federico (4): "Convenciones et pacta habita inter illustrem dominum Fredericum tercium dei gracia serenissimum domunim regem Sicilie / ducatus Apulie et principatus Capuae et Thomasium de Procida capitaneum Bertrandum de Cannellis et Johannem de / Baresio, Petrum de Muntacuda Bernardum de Peravola tam pro quam omnibus aliis tam equitibus quam peditibus inclusis in terra / Gangi castro et terre Petrepercie quas predictus dominus rex Fredericus tenet obsessas videlicet ...". Il documento fu dato "in castris prope Gangium XXIIII madii XII indictionis regni nostri anno III", ossia nei pressi del castello di Gangi.
Secondo i patti di resa (che non riportiamo per esteso per ragioni di spazio) dunque Tommaso da Procida e gli altri avrebbero dovuto recarsi nella piana di Milazzo per imbarcarsi verso il continente insieme con chi, degli abitanti di Gangi, avesse voluto seguirli. Dal tenore del documento sembra potersi confermare che la pena inflitta ai ribelli e al borgo di Gangi non fu per nulla esemplare: assegnando un tempo di ventitré giorni a partire da domenica 24 maggio, re Federico assicurò infatti l'immunità ai ribelli facendoli arrivare sani e salvi nella piana di Milazzo per imbarcarsi alla volta di Napoli. La magnanimità di Federico, secondo quanto riporta il documento, si estendeva anche a colo i quali avrebbero voluto seguire Tommaso da Procida e gli altri insorti, sebbene il Sovrano si riservasse di punire o di perdonare chiunque degli abitanti fosse rimasto nel borgo, ma comunque assicurando loro la salvezza.
Sembra che le condizioni di resa dettate dal Sovrano vennero accettate dagli assediati se, come attestano diversi documenti, ritroviamo Tommaso da Procida qualche anno dopo addirittura nelle vesti di ambasciatore dello stesso re Federico: e la stessa magnanimità è da supporre che il re di Sicilia l'abbia voluta rivolgere anche agli abitanti di Gangi e al borgo che verosimilmente non venne affatto raso al suolo. Del resto distruggere un castello che era rimasto inespugnato dopo lunghi mesi di assedio sarebbe stato del tutto svantaggioso. Cosa venne dunque distrutto in quella primavera del 1299 ?
Di certo il toponimo Gangi Vecchio riferito alla località a pochi chilometri verso sud rispetto all'attuale abitato di Gangi (dove poi nel 1363 sorgerà un monastero benedettino) è indicativo della presenza di un abitato avente lo stesso toponimo di quello a cui si riferiscono i fatti del 1299. Il ritrovamento in questa contrada di reperti datati dal IV al XIV secolo d.C., in una non fortunata campagna di scavi archeologici condotta nel lontano 1974, farebbe pensare a un collegamento con le vicende appena citate. Ma i patti di resa imposti da Federico III, come anche la posizione sottomessa del luogo, non fanno pensare a una distruzione dell'abitato che rimase inespugnato: come si dirà in altra sede, a essere distrutto fu probabilmente un modesto villaggio posto nella località Gangi Vecchio e che portava il medesimo nome del borgo col castello che si trovava invece in posizione eminente sul Monte Marone (dov'è l'odierna Gangi) e che rimase inespugnato.
Oppure si potrebbe pensare, come ha ipotizzato alcuni anni fa lo storico castelbuonese scomparso, Antonio Mogavero Fina, che
l'abitato di Gangi sia stato distrutto e saccheggiato da Federico e che, placata la sua collera, il Sovrano abbia concesso l'indulgenza ai vinti (5): ma la circostanza per cui il borgo e il
castello di Gangi non vennero espugnati, tanto da giungere a stipulare i patti di resa, fa pensare che in effetti non vi fu alcuna distruzione.
Ancora una volta, dunque, storia e tradizioni storiografiche si intrecciano in un fitto mistero che, a distanza di ben sette secoli, attende ancora di essere svelato. Come sottolinea lo stesso Mogavero Fina, luci e ombre avvolgono ancora questo enigma della storia madonita, enigma che a distanza di secoli ri ripropone in tutta la sua interezza e sul quale occorre ancora meditare. In mancanza di ulteriori (speriamo imminenti) approfondimenti non rimane almeno che ricordare i fatti che settecento anni fa coinvolsero la nostra cittadina, per non dimenticare le nostre radici e quanti hanno contribuito a costruire questa nostra realtà. E questo è il senso delle presenti note.
Note
1 N. Speciale, Chronicon Siculum; R. Gregorio, Bibliotheca historica scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, Palermo
1791, vol. I, p. 392.
2 F. Giunta, A. Giuffrida (a cura), Acta Siculo Aragonensis, vol. II, Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo 1972, p. 21 e segg.: le città
maggiormente toccate dall'insurrezione, oltre a Gangi e Petraperzia, furono Naso, Ficarra, Tripi, NOvara, Francavilla, Castiglione, Mascali, Aci, Catania e la contea di Modica.
3 Cfr. T. Fazello, L'Historia di Sicilia, tradotta dal P. Remigio Fiorentino, Venezia 1573, libro X, p. 301 e V. Amico, Lexicon topographicum
siculum, Catania 1760, tomo III, p. 203.
4 F. Giunta, A. Giuffrida (a cura), Acta Siculo Aragonensis, cit., p. 61 e segg.: quello in questione è il documento XIV, ACA, perg. 10262, Assedio di Gangi (1299), maggio 24. ind. XII. Capitoli per la dedizione di Gangi stipulati tra Federico III da una parte e Tommaso da Procida, Bertran de Cannellis, Pere de Montagut e Bernat Peravola, dall'altra.
5 A. Mogavero Fina, Luci ed ombre nella storia delle Madonie. Magnanimo l'Aragonese re di Trinacria dopo l'assedio e il saccheggio di Gangi (1299), in "Il Corriere delle Madonie" del 15 gennaio 1974, p. 3.