Neve e neviere a Gangi fra Seicento e Settecento
di Salvatore Farinella©, testo inedito, 2 gennaio 2015
Le abbondanti nevicate degli ultimi giorni del 2014 costituiscono un fatto eccezionale soprattutto per la quantità di neve riversatasi sulle Madonie, dopo alcuni anni di assenza o di brevi spolverate in cima alle montagne: eppure alcuni secoli fa questa non era una circostanza straordinaria, anzi fino a qualche decennio addietro - a memoria dei nostri anziani - gli inverni innevati erano all’ordine di ogni uno o al massimo due anni. Questa esperienza di fine anno richiama alla mente una serie di documenti d’archivio che attestano come nel passato anche a Gangi la presenza della neve non fosse da considerare solo alla stregua di un momento di disagio (per agricoltori, allevatori e dunque per gli animali e per la gente comune), ma come la possibilità per alcuni di sbarcare il lunario attraverso la “vendita” della neve: la commercializzazione di questo prodotto della natura implicava, ovviamente, la presenza di strutture adeguate per la conservazione, le cosiddette niviere ampiamente testimoniate dai documenti d’archivio e in parte ancora oggi visibili nei dintorni del nostro borgo.
L’altitudine dei nostri luoghi e il clima rigido invernale favoriva senza dubbio il mantenimento della neve che, dopo le abbondanti nevicate, rimaneva per diversi mesi praticamente intatta: quando ci si accorse che la neve veniva richiesta nei mesi caldi, soprattutto lungo le coste, nacque l’esigenza di disporre di luoghi di accumulo e di conservazione fino a che il prodotto non veniva smerciato. Dapprima la neve venne accumulata in anfratti naturali, ad alta quota, ma in seguito vennero costruiti apposite strutture, interrate e coperte, che vennero chiamate neviere: all’interno di tali strutture la neve veniva compressa (nei mesi invernali) e lasciata stagionare coprendola con materiali isolanti come la paglia, le erbe secche, le felci. Nei mesi estivi poi, a richiesta di privati o anche di amministrazioni pubbliche, la neve veniva venduta trasportandola con asini e muli e di notte verso le città dove i commercianti la utilizzavano per confezionare ghiaccio, bevande fresche, gelati, sorbetti e granite con essenze di agrumi e di anice da vendere per strada o da fare arrivare sulle tavole dei nobili e dei ricchi.
All’inizio il commercio della neve era affidato all’iniziativa privata ma in seguito, quando ci si accorse che da esso poteva trarsi un guadagno, furono le stesse amministrazioni comunali a realizzare neviere nei terreni demaniali e a concederle in gabella (affitto) ai commercianti di neve. Un commercio, quello della neve, che durò fino alla prima metà del Novecento quando le macchine per la produzione del ghiaccio sostituirono le neviere.
A Gangi abbiamo una prima testimonianza documentale di commercio di neve già nella primavera del 1633: con un atto del notaio Tommaso di Salvo, stipulato il 10 aprile di quell’anno, alcuni commercianti si impegnarono a vendere una certa quantità di neve all’Universitas (ossia l’allora amministrazione comunale) di Gangi [1]. Un atto dell’8 giugno 1691 del notaio Antonino li Destri attesta invece la presenza delle neviere nel nostro borgo [2]: queste strutture erano per lo più interrate, scavate nel sottosuolo per una profondità di circa due metri e realizzate come una camera stagna in pietrame successivamente intonacato. La copertura, realizzata con voltine in pietra, presentava un portello di ingresso per introdurre la neve ma per consentire anche agli operai di prelevare il prodotto.
Le neviere di Gangi erano per lo più dislocate lungo i fianchi settentrionali del monte Marone, “a tramontana”, ossia nella parte meno esposta al sole e dunque più fredda del monte: e ciò per ovvie ragioni di conservazione. I documenti attestano la presenza di neviere a partire da sotto a chiesa della SS. Trinità e lungo il versante nord fino alla contrada Pascovaglio, sotto la chiesa della Madonna delle Grazie fino ad arrivare nei dintorni dell’odierno cimitero comunale. Un atto del 5 settembre 1726 attesta per esempio la concessione, da parte del clerico don Franciscus Antoninus Ventimiglia, di una terra vacua (vuota) ubicata «in q(ontra)ta n(omina)ta della nivera secus domanium s(ancti) michaelis» [3]: il "demanio di San Michele", appartenente all’Università di Gangi, era ubicato fra l’odierno cimitero comunale e la contrada Piano Ospedale, e traeva il nome dalla presenza (almeno fino al XVII secolo) di una chiesetta suburbana dedicata proprio all’Arcangelo [4].
Ancora un documento del dicembre di quello stesso anno attesta come il commercio della neve coinvolgesse anche persone dei centri vicini: in questo caso fu il magister Michelangelus Ragusa terre sancti Mauri a impegnarsi per la vendita della neve [5].
Questo scritto inedito, che prende spunto dalle recenti nevicate di fine anno, costituisce una breve anticipazione di un più ampio studio in corso di definizione sulle strutture produttive presenti a Gangi nei secoli passati, dai mulini agli stazzoni, dalle concerie alle pirrere e, naturalmente, alle neviere, strutture che costituivano parte del tessuto sociale e della struttura produttiva e commerciale del borgo di Gangi.
Note
[1] Archivio Storico del Comune di Gangi (ASCG), Fondo notai defunti, atto del 10 aprile 1633, notaio Tommaso di Salvo, vol. IG1, c. 116v-117v.
[2] ASCG, Fondo notai defunti, atto del 8 giugno 1691, notaio Antonino li Destri, vol. XV1-1, bastardello, c. 171-172.
[3] ASCG, Fondo notai defunti, atto del 5 settembre 1726, notaio Antonino li Destri, vol. B, bastardello, c. 16-17v.
[4] Su questa chiesa e sulle altre chiese scomparse di Gangi rimando a S. Farinella, Quasi dirutta et in ruynam. Chiese e ospedali scomparsi a Gangi. nelle testimonianze documentali fra XII e XVIII secolo, in corso di pubblicazione.
[5] ASCG, Fondo notai defunti, atto del 28 dicembre 1726, notaio Antonino li Destri, vol. B, bastardello, c. 255v-257.