Sigilli Universitatis terre Gangij 1607
di Salvatore Farinella©, pubblicato in Le Madonie n. 3, 1998
Da una ricerca d’archivio un contributo inedito alla storia municipale della cittadina madonita. Ritrovato, dopo quattro secoli, il sigillo con l’antico stemma del Comune di Gangi
Una tradizione storiografica consolidata (locale e non), all’incirca a partire dal XVI-XVII secolo, ha legato il nome della cittadina di Gangi alla leggendaria saga del cretese re Minosse e alla mitica città di Engyon, sede del culto delle Meteres e florida comunità della Sicilia antica. La storia (ma sarebbe meglio dire la leggenda) è nota: Minosse, re di Creta all’inseguimento del mitico inventore e architetto Dedalo, approda sulle coste meridionali della Sicilia (allora Sikanìa o Sikelìa) dove, per il timore di Kocalo (re di Camico) e per mano delle sue figlie, trova la morte in un fatidico bagno. Alcuni dei Cretesi al suo seguito, smarriti dall’evento funesto e a causa della distruzione delle loro navi, iniziano a vagare per le campagne isolane giungendo in una località litoranea dove fondano una città che, in onore del loro defunto re, chiamano Minoa.
Altri invece si inoltrano verso l’interno dell’Isola e, seguendone il corso, arrivano alla sorgente di un fiume nei cui pressi edificano la città di Engyon, che significa appunto “con la fonte dentro”. Nel corso dei secoli la cittadina si accresce divenendo una fra le più note della civiltà isolana, grazie al culto in essa celebrato delle Meteres, divinità di origine orientale legate alla Terra. Fin qui, per grandi linee, la leggenda.
Benché la cultura storiografica a cui accennavamo prima (a partire da Cluverio e ancor prima dall’Arezio), forse per l’assonanza del nome, abbia indicato in Gangi (o nel suo territorio) il sito dell’antica Engyon, purtroppo la mancanza di precise tracce documentali capaci di dare forza all’equazione Engyon = Gangi non ci permette, finora, di ricondurre l’origine dell’attuale centro madonita alla mitica città fondata dai cretesi di Minosse. Nonostante ciò, evocando quella origine leggendaria della cittadina (fatto peraltro comune a molte comunità locali), l’attuale stemma araldico del nostro centro vede riproposto il mito di Minosse e della fondazione della città di Engyon. Coniato nell’Ottocento (il primo esemplare conosciuto dello stemma, scolpito nella chiave di volta del portale di ingresso alla Casa Comunale, è datato 1889), l’attuale stemma di Gangi rappresenta infatti il Minotauro (richiamo al leggendario mito cretese) che si disseta a una fonte, a quella cioè che, secondo il racconto di Diodoro Siculo (50 a. C. circa), scorreva all’interno dell’antica città (1).
Una ricerca d’archivio sulla storia municipale di Gangi, condotta oramai da alcuni anni, ha permesso a chi scrive di imbattersi in un documento inedito che, prepotentemente e in maniera sconvolgente, ripropone l’antico (e riteniamo finora originario) sigillo dell’allora Università (= Comune) di Gangi. Si tratta di un atto pubblico datato 29 agosto IV Indizione 1606, con il quale don Josephj de Romano, allora archipresbiter terre Gangij, nomina un certo Joannes Franciscus Barone procuratore della Cappella del SS. Sacramento della chiesa Madre di Gangi (2). L’atto è rogato dal notaio Egidio de Salvo del quale, a tergo del documento, si legge la seguente nota: "Actis meij Notarius Egidij de Salvo engiensis". Era questi uno dei più attivi notai gangitani della fine del XVI e dell’inizio del XVII secolo: il suo, infatti, era probabilmente il più rilevante “banco” notarile della Gangi di allora, originariamente retto dallo stesso notaio Egidio e posto nel quartiere del Celso dove esso aveva l’abituale dimora (3). Successivamente i suoi eredi continueranno a esercitare l’attività nel suo nome, a giudicare dai numerosissimi documenti notarili che coprono un arco di tempo di circa due secoli (4).
Tornando al documento in questione, rileviamo come in calce allo stesso i Giurati dell’Università di Gangi allora in carica, Nicolaus Padula, Pasqualis Mantus e Laurentius de Brando pro magistro notario, con nota datata 22 agosto V Indizione 1607, attestano l’autenticità della copia dell’atto estratto: ciò avviene apponendo sia la loro firma, sia (fatto questo di estrema rilevanza per la nostra questione) il sigillo a secco recante quello che possiamo ritenere lo stemma dell’Università. Fra le funzioni dei Giurati, oltre a quella di amministrare la comunità attraverso una serie di complesse attività, vi era evidentemente anche quella di garantire la veridicità e l’autenticità degli atti pubblici che venivano stipulati, specialmente nella estrazione di copie dagli originali. La formula utilizzata nel documento per l’attestazione è la seguente (5): "Nos Juratj terre gangij fidem facimus omnibus or sing(u)lis off(iciali)bus Regnij Majoribus et minoribus p(rese)ntes inspecturis ........ super(di)tta copia fuit et est ex.tta ex attis notarij egidij de salvo cum extratta inpede a suis proprijs manibus q(ue) p(ubli)ce tabellionatus off(ici)um exercen (!) in terra p(redi)tta artis cuius jn judicijs et ex.ta indubia poteri ad hiberj fides et in testimonium veritatis has pre(se)ntes fierj fecimus n(ost)ris sub scrip(tio)onibus robboratas sigillo uni(iversita)tis p(redi)tte quo vidjmur (?) impede Minitas (!) datam Gangij Die 22 augusti V Ind(ictioni)s 1607". Seguono le firme dei Giurati. E, naturalmente, il sigillo.
Si tratta, come dicevamo, di un timbro a secco (unico esemplare finora conosciuto che proponiamo nella fotografia e nel rilievo grafico ricavati da chi scrive) del tipo circolare con un diametro di 2,4 centimetri recante al suo interno uno scudo, purtroppo in parte corroso; una stretta fascia centrale divide quest’ultimo in due campi: in quello superiore appare la scritta a caratteri maiuscoli GAN, mentre nel campo inferiore si intravede il completamento con le lettere GI. In questo stesso campo le due lettere G e I sono contornate da tre stelle poste rispettivamente prima della G, dopo la I e in basso al vertice dello scudo.
Riteniamo di non allontanarci troppo dalla realtà storica asserendo che il sigillo ritrovato riproduce in effetti lo stemma araldico della cittadina madonita così com’era almeno fin dall’inizio del XVII secolo, quando ancora la terra di Gangi faceva parte del Marchesato di Geraci. E circa la lettura di questo stemma non possiamo non ipotizzare che il sigillo dell’Università di Gangi, in effetti, riproponeva lo stemma araldico dell’antica famiglia Ventimiglia (appunto uno scudo bipartito e, successivamente, tre stelle), al potere della quale in questo periodo Gangi era ancora soggetta. Infatti, fin dalla costituzione nel corso del XIII secolo (ma ancora prima, dai tempi della contessa Guerrera nel XII secolo), Gangi fece sempre parte della grande Contea ventimigliana di Geraci: e ciò fino al 1625 quando l’allora Marchese, per far fronte ad una crescente crisi finanziaria, vendette alla famiglia Graffeo, fra l’altro, anche le terra di Gangi.
Sicuramente il sigillo apposto contribuisce a caratterizzare quella funzione per così dire “amministrativa” esercitata dai Giurati dell’epoca, dando forza giuridica e garanzia al documento ma, soprattutto, attribuendo un concreto valore all’azione svolta da quegli amministratori e al ruolo rivestito dall’Università nell’ambito della società del tempo. Nulla possiamo invece ipotizzare sul perché e sul quando di tale sigillo si sia perduta la memoria, soppiantato dal nuovo (e attuale), quello raffigurante il Minotauro e la leggendaria saga cretese.
Certo è che quella ritrovata e qui riproposta rappresenta comunque (almeno fino ad oggi) la più antica documentazione relativa al sigillo e allo stemma del Comune di Gangi. Una ricerca sicuramente stimolante potrà essere quella di indagare sui motivi e sui tempi in cui questa memoria storica sia andata perduta e oggi, finalmente, ritrovata.
Note
1 In effetti nello stemma della Casa Comunale sopra ricordato non è stato raffigurato un “minotauro” (corpo umano con testa taurina) ma, erroneamente, un toro con la testa umana.
2 L’atto è conservato presso l’Archivio della Chiesa Madre di Gangi, vol. Amministrazione della Chiesa Madre dal 1550, c. 54 r/v.
3 Così desumiamo dai Riveli delle Anime e dei Beni del 1593, Archivio di Stato di Palermo, Tribunale del Real Patrimonio, vol. 1139, c. 354-357.
4 Gli atti catalogati sotto la voce Egidio di Salvo, conservati presso il locale Archivio Storico Comunale e attualmente oggetto di una ricerca d’archivio da parte di chi scrive, vanno dal 1550 al 1713 circa. E’ chiaro quindi che tutta l’attività notarile non sia da riferire solamente allo stesso notaio Egidio de Salvo, bensì a un grande banco notarile organizzato a carattere familiare il cui titolare, Egidio, ha potuto espletare la propria attività per un periodo comunque limitato di tempo.
5 Questa formula si ritrova in altre copie estratte di documenti dello stesso periodo e anche di epoca successiva, ma non abbiamo finora riscontrato altre copie recanti il sigillo dell’allora Università di Gangi.