Un teatro a Gangi nella metà del Settecento
di Salvatore Farinella©, pubblicato in Le Madonie, n. 10, 1999
La struttura teatrale allestita dai Bongiorno rivisitata in tre documenti inediti dell'epoca
Nel mese di agosto scorso [1999] la celebrazione dei 25 anni di attività dell'Associazione Filodrammatrica "Il Minotauro" faceva riflettere sulla mancanza, a Gangi, di una struttura teatrale capace di accogliere le rappresentazioni che questa e altre Compagnie volessero mettre in scena (1). A ben pensare, però, non è stato sempre così: e la ricerca d'archivio, pur nella circostanza attuale che vede il nostro centro carente di una così importante struttura culturale, ci conforta su di un passato (per la verità non troppo lontano) in cui ben altre erano le risorse culturali locali.
Il periodo è quello della metà del Settecento, durante il quale la nostra Gangi poteva vantare la presenza di una famiglia aristocratica di notevole profilo culturale: gli immancabili Bongiorno, baroni di Cacchiamo, Rolìca e Capuano. Grandi mecenati, oltre che nobili, i fratelli Francesco Benedetto (a cui era spettato il titolo di barone, essendo il primo maschio) e Gandolfo Felice (la vera "anima" culturale della famiglia) (2) avevano avuto modo di farsi notare nell'ambito culturale della Sicilia tardo barocca attraverso la fondazione di un'Accademia letteraria, quella degli Industriosi, legata a quella del Buon Gusto di Palermo e alla quale erano iscritti alcuni fra i più prestigiosi personaggi dell'epoca: da Vito Amico, l'abate benedettino autore del Lexicon Topographicum Siculum, al Marchese di Villabianca, a Domenico Schiavo e altri letterati più o meno noti (3).
Ancora poco oltre la metà del secolo, nell'affrescare le sale del loro nuovo palazzo fatto costruire presso la piazza di Gangi, i Bongiorno si erano avvalsi dell'opera del romano Gaspare Fumagalli e del palermitano Pietro Martonana, noto ornamentista e maestro di fantastiche illusioni architettoniche il primo, assai ricercato nella Sicilia di allora, valente (seppur non eccelso) pittore il secondo (4).
Gandolfo Felice, come si è detto, era la vera "anima" culturale della famiglia. Non sappiamo ancora se realmente lo fosse, ma sembra che prediligesse svolgere l'attività di architetto, seppure non a carattere professionale: suoi interventi sono infatti documentati in varie chiese di Gangi e delle Madonie per tutta la seconda metà del XVIII secolo (5). E comunque non disdegnava di occuparsi di altre attività culturali legate alla letteratura (componeva, infatti, versi che venivano letti e pubblicati presso l'Accademia) ed alla erudizione. E in quest'ultima veste di erudito, è proprio Gandolfo Felice Bongiorno a darci la prima notizia sull'esistenza, nella Gangi della metà del Settecento, di un teatro dove solevano svolgersi varie rappresentazioni.
La prima notizia conosciuta sull'esistenza del teatro è infatti del 27 agosto 1761, quando cioè lo stesso Gandolfo Felice, fornendo alcuni ragguagli sulla presenza di vestigia sul monte Alburchia e sugli "Zoppi di Gangi", Gaspare Vazzano e Giuseppe Salerno, scriveva all'abate Vito Amico che a Gangi "... vi è pure il publico Teatro ..." (6). La notizia, di per se, potrebbe non suscitare tanto scalpore se non fosse per il fatto che promotori, ideatori e costruttori del "publico Teatro" furono proprio i Bongiorno, in quella loro ampia attività di mecenati che li portava a patrocinare diverse iniziative culturali.
Che il teatro fosse stato realizzato proprio dai Bongiorno lo apprendiamo infatti da un secondo, inedito, documento: l'inventario testamentario dei beni del barone Francesco Benedetto Bongiorno. Il barone, che era nato nel 1711, passava a miglior vita nel gennaio del 1767, a soli 56 anni. Il testamento, redatto il 29 gennaio di quello stesso anno presso il notaio Andrea Cammarata di Gangi, prevedeva che i beni del barone Francesco andassero principalmente al figlio maschio primogenito Michelangelo Gregorio il quale, data la minore età, veniva posto sotto la custodia e la patria potestà dei due tutori, donna Maria Grazia Allegra, moglie del barone Francesco, e il fratello Gandolfo Felice.
Il 9 marzo 1767, agli atti dello stesso notaio Cammarata, veniva aperto l'inventario patrimoniale del defunto barone nel quale, fra i beni inventariati, figurava il seguente:
"... un corpo di Casa detto il teatro terr(ane)o servendo metà per platea e metà per teatro chesiste col suo piano, metà di tavole una quarta parte e solaro, e un Parchetto s(opr)a la porta, esis(ten)te in q(uest)a / sud(ett)a Città [di Gangi] e nel q(uarte)rio di S(ant)a Maria di Gesù conf(inant)e con la Casa di Santo Picone d'una parte e colle strade dall'altre due parti ..." (7).
Evidentemente, per essere annoverato fra i beni che il defunto barone Francesco Benedetto Bongiorno lasciava ai propri eredi, il publico Teatro descritto qualche anno prima dal fratello Gandolfo Felice doveva appartenere proprio alla famiglia e doveva essere stato realizzato a spese degli stessi baroni Bongiorno. In effetti il mecenatismo e la partecipazione finanziaria dei Bongiorno in opere e attività culturali non era per niente nuova: basta dire che, oltre a "sponsorizzare" (come diremmo oggi) la prestigiosa Accademia letteraria degli Industriosi, i Bongiorno si facevano spesso carico degli interventi da realizzarsi nelle chiese di Gangi, senza alcun apparente tornaconto (8). E un ulteriore esempio di tale mecenatismo e del conseguente apporto finanziario da parte dei Bongiorno ci è dato da un terzo documento inedito che, fra l'altro, chiarisce ancor più l'aspetto riguardante la fisionomia della struttura teatrale messa in piedi dalla nobile famiglia.
Si tratta di un contratto, stipulato presso il notaio gangitano Mario di Chiara il giorno 22 agosto 1774, fra il sempre presente d(on) Gandulpho Felici Bongiorno e un certo D(on) Bernardus Cagnes, palermitano ma abitante nella città di Caltagirone (9). Costui era titolare di una compagnia teatrale che, evidentemente, girava in tutta la Sicilia dell'epoca: con tale contratto il Cagnes si impegnava a rappresentare, nel mese di agosto dell'anno successivo 1775, "... colla sua comitiva di musici di canto di strumenti nel publico Teatro di q(ues)ta sud(ett)a Città l'opera in musica titolata li scherzi d'amore e di fortuna ....". L'inizio della prima rappresentazione veniva fissato per il giorno 16 dello stesso mese di agosto e le repliche dovevano essere riproposte per altre quattro sere. Lo stesso Cagnes si impegnava anche a cantare i vespri e la messa solenne nella festività dell'Assunta con inizio nel giorno 14, vigilia della festa: quest'ultima circostanza era dettata dal fatto che proprio l'Assunta, unitamente allo Spirito Santo, era stata eletta a patrona dell'Accademia degli Industriosi di Gangi. Il tutto per un compenso di 50 once "... in denari quontanti ...".
Di particolare interesse è la seconda parte del contratto che descrive la struttura del teatro. L'obbligo del Bongiorno verso il suddetto Cagnes era il seguente: per tutto il periodo delle rappresentazioni il nobile mecenate doveva "... dare ... l'intero teatro di scena, di Platea franco di lume vestiario per li comici, assistenza di maestri e d'altri apparenti s(econ)do si richiede l'opera sud(ett)a restando esclusi dal p(rese)nte patto li soli palchi di p(ri)mo e s(econ)do giro e tre soli palchi del terzo giro, ... si come restano esclusi ancora due fili di banchi di quelli che sono con le spalliere ...".
I palchi riservati erano esenti dal pagamento del biglietto solamente per gli appartenenti alle famiglie probabilmente titolate di Gangi: nel caso in cui "... quelli forestieri, o siano esteri che fossero nelli d(ett)i palchi ammessi devono per ogni uno pagare al sud(ett)o di Cagnes t(arì) 2 che è la tassa universale di tutti coloro che volessero intervenire alla d(ett)a opera siano paesani o siano esteri ...".
Appare chiaro che si trattava di una vera e propria struttura teatrale, la cui platea era capace di accogliere nelle (almeno) tre file di palchi e nei banchi (con, ma anche senza spalliera) un numero rilevante di persone. E anche la scena doveva essere non modesta se, come da contratto, nelle rappresentazioni la comitiva doveva approntare almeno due "... Eunuchi, che devono rappresentare di p(ri)ma e s(econ)da donna ... e lo resto de Musici, quattro violini ... due obboe, due corni di caccia, contrabasso e Maestro di Cappella ...". Al Bongiorno, infine, spettava di dare "... tavola franca e posento di casa e letti per tutta d(ett)a comitiva ...", ossia vitto e alloggio gratis, o meglio a spese dello stesso Bongiorno.
I tre documenti inediti esaminati testimoniano dunque la presenza a Gangi di una struttura teatrale, privata ma di uso pubblico, attiva e perfettamente operante nella seconda metà del Settecento: e dalla descrizione fatta dagli stessi documenti sembra evidente che doveva trattarsi di una struttura non modesta, capace di accogliere numerose persone di pubblico e teatranti.
Anche se la struttura teatrale oggi non è più esistente, fortunatamente siamo in grado di conoscere dove era ubicato il teatro settecentesco della famiglia Bongiorno: di esso infatti rimane il ricordo nei toponimi di due strade, la Via Teatro e il Cortile Teatro, in una delle parti più antiche del centro storico di Gangi. Credo che proprio qui, a valle della via Grande Sant'Antonino e a ridosso delle vecchie mura di cinta della cittadina, già non più esistenti nella seconda metà del Settecento, sorgesse il publico Teatro di Gangi, struttura di grande interesse culturale che nella società tardo barocca del XVIII secolo dava lustro alla nostra cittadina. Ma nella Gangi del Terzo Millennio una siffatta struttura culturale è ancora, purtroppo, una chimera.
Non ci rimane che sperare nell'avvento di nuovi mecenati.
Note
1 L'Associazione Filodrammatica "Il Minotauro", nata nel 1974, ha costituito per Gangi una delle più genuine e riuscite imprese culturali dell'ultimo scorcio di questo secolo. Benché sia composta da persone non professioniste del teatro, la Filodrammatica ha regalato alla cittadinanza gangitana momenti di vera cultura letteraria, rappresentando con passione e (sicuramente) con sacrificio testi di Pirandello, di Brancati, di Moliere, di Martoglio. In occasione di tale ricorrenza è con piacere che mi permetto di dedicare questo scritto sulla presenza di una struttura teatrale nella Gangi del Settecento proprio alla Filodrammatica "Il Minotauro", nell'auspicio di poter assistere presto anche a Gangi alla rappresentazione di lavori in un vero teatro comunale.
2 Figli di don Antonino Bongiorno e di donna Maura Pupillo, i due fratelli facevano parte di una famiglia di ben undici figli, essendo Francesco Benedetto (primo dei maschi) il quartogenito e Gandolfo Pietro Felice il penultimo nato.
3 Biblioteca Comunale di Gangi, Rime degli Accademici Industriosi di Gangi, elenco degli aderenti a p. 13 e segg. .
4 S. Farinella, Gaspare Fumagalli e i dipinti nelle volte del palazzo Bongiorno a Gangi. Un giallo nella Sicilia artistica del Settecento, in Le Madonie n. 2, agosto 1999, p. 3 .
5 A tal proposito si cfr. S. Farinella, La chiesa dello Spirito Santo in Gangi. Fabbricazione, trasformazioni e fatti d'arte dal 1576 attraverso i documenti inediti, Assoro 1999, cap. II.
6 Archivio dei PP. Cappuccini di Gangi, Lettera manoscritta di Gandolfo Felice Bongiorno a Vito Maria Amico, 27 agosto 1761.
7 Archivio Storico di Termini Imerese (da ora AST), Fondo notai defunti, notaio A. Cammarata, vol. 7075, c. 84 r/v.
8 Per questo aspetto si cfr. ancora S. Farinella, La chiesa dello Spirito Santo, cit., passim.
9 AST, fondo notai defunti, notaio M. di Chiara, vol. 7099, c. 151-152.