Un affresco nell’abbazia di Gangi Vecchio
di Salvatore Farinella©, testo pubblicato in ArteIncontro, n. 49 gennaio/marzo 2005, integrato con il testo tratto da S. Farinella©, L’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio. Storia, arte e misteri dell’antico cenobio benedettino, pubblicato in edizione digitale, Gangi 2013
Ultimi sprazzi dell’arte siciliana, prima dell’avvio della stagione artistica meglio nota come “arte della Controriforma” che dalla fine del XVI secolo produsse notevoli mutamenti nella cultura artistica isolana. Il luogo è l’antica abbazia benedettina di Santa Maria di Gangi Vecchio, edificata nel 1363 nei pressi dell’odierna Gangi, terra feudale nel cuore della Sicilia appartenente ai Ventimiglia (1): il cenobio costituiva per tutta l’area delle Madonie (a occidente) e dei Nebrodi (a oriente) il maggiore punto di riferimento religioso, in tempo percorsi da caotiche circostanze e da grandi dubbi. L’influenza positiva di quei monaci giungeva fino a Enna, dove i Benedettini di Gangi Vecchio possedevano un ospizio costruito su alcune terre che ad essi aveva donato un personaggio del posto.
È nella metà del XVI secolo che l’abbazia viene sottoposta a importanti stravolgimenti strutturali che ne ridisegnano la fisionomia: il rifacimento del chiostro colonnato (oggi non più esistente), la nuova imponente facciata, la ristrutturazione di alcuni ambienti (2). Nell’ambito dei lavori rinnovamento strutturale attuato nell’abbazia si colloca, alla fine degli anni Settanta del Cinquecento, l’intervento artistico di un pittore, forse modesto, che proprio da Enna venne chiamato a dipingere il refettorio dell’abbazia. Benché degli affreschi non rimangano che pochi resti, la fortuna vuole che fra quei frammenti sia stata preservata la firma dell’autore e la data di esecuzione dei dipinti: in un cartiglio posto sulla parete sinistra del refettorio è possibile leggere infatti, in maniera inequivocabile, la scritta petrus de bellio faciebat 1577 (3).
Pietro de Bellio - o Billio, come si rileva in alcuni documenti - era un pittore e scultore ligneo originario di Castrogiovanni (Enna). Le prime notizie che ne documentano l’attività risalgono al 1556 quando, ancora nella sua città d’origine, esegue un dipinto con la Vergine Maria (4). Intorno alla metà degli anni ’70 del Cinquecento il Bellio si trasferisce a Gangi, dove nel gennaio del 1576 lo si ritrova a scolpire una statua di san Rocco per la chiesa di Santa Maria di Gesù (5): sono gli anni della grande epidemia di peste che flagella quasi tutta la Sicilia, anni in cui l’artista abbandona la sua città natale per trasferirsi stabilmente nel borgo madonita.
Nel luglio dello stesso anno il Bellio acquista infatti una casa nel borgo di Gangi, nel quartiere San Paolo (6); nel 1593 l’artista dichiara di avere 70 anni, di abitare con il proprio figlio nella casa del quartiere di San Paolo e di possedere tre vigne, una giumenta, una potra e cinquanta pecore: fra i beni rivelati il Bellio dichiara anche 57 onze di credito da riscuotere probabilmente per l’esecuzione di alcuni lavori (7). In quegli anni sembra che la bottega di mastro Pietro Bellio venga frequentata da Gaspare Vazzano e da Giuseppe Salerno, i due pittori gangitani entrambi noti col soprannome di Zoppo di Gangi (8). Il Bellio muore intorno al 1601 e viene sepolto nel convento di Santa Maria del Carmelo, lasciando eredi il figlio Geronimo e le figlie Antonina e Santa (9).
È probabile che i primi contatti fra il Bellio e i Benedettini di Gangi Vecchio siano avvenuti poco prima del 1575 - anno a partire dal quale il nostro artista risulta stabilmente insediato a Gangi - ed è anche ragionevole supporre che tali contatti possano essere avvenuti proprio a Enna, sua città d’origine: qui, infatti, i monaci di Gangi Vecchio avevano da tempo una grangia (una dipendenza) nella quale periodicamente si recavano per amministrare i beni che possedevano nella cittadina. Non è improbabile, dunque, che la venuta a Gangi del pittore possa essere dovuta proprio all’incarico ricevuto dai monaci di Gangi Vecchio di affrescare le sale dell’abbazia, incarico al quale si aggiunge la commissione della statua di San Rocco per la chiesa di Santa Maria di Gesù e che determina forse il suo definitivo trasferimento nel borgo di Gangi.
Il refettorio dell’abbazia doveva essere interamente affrescato ma la parete sinistra della sala è quella che mostra oggi i dipinti superstiti: qui il Bellio dipinse una severa Crocifissione, occupando l’intera parete. Al centro è il Crocifisso - oggi perduto a causa dell’arco in mattoni realizzato dai Bongiorno per sorreggere la volta del refettorio -, avvolto dalla mandorla di luce e da una corona di nubi da cui spuntano teste alate di cherubini: a sinistra sta la Vergine Maria, ritta in piedi e col viso segnato dal dolore, a destra la figura giovanile di un discepolo che può facilmente identificarsi con Giovanni.
Mentre l’Addolorata è ritratta di profilo e in una posizione piuttosto statica, la figura del discepolo appare in movimento e col viso ritratto di tre quarti, forse indizio di una mano diversa rispetto a quella del Bellio. Le due figure si stagliano su uno sfondo di profondi paesaggi surreali che si alternano a bagliori rarefatti e ad elementi di natura morta rappresentati da tronchi d’albero privi di fogliame: ai piedi di uno di questi tronchi è il cartiglio con la firma dell’autore e la data dei dipinti. Non è difficile riconoscere in taluni di questi sfondi campestri dipinti dal Bellio alcuni brani del paesaggio reale intorno a Gangi Vecchio, scorci che l’artista avrà ritratto dal vero guardando da una delle finestre del refettorio che si aprono direttamente sulla campagna circostante: così, nella sagoma di un monte sovrastato da antiche rovine dipinto proprio accanto alla corona di nubi che avvolge il Crocifisso, sembra di scorgere il vicino monte Alburchia - sito di un antichissimo insediamento indigeno ellenizzato - che rimane perfettamente visibile proprio da una di quelle finestre. Anche le torri disegnate nello scorcio che fa da sfondo al discepolo possono benissimo alludere alle numerose torri rurali a difesa di feudi e campagne, di cui si ha notizia in diversi documenti del periodo.
Un altro brano di affresco conservato fino ad oggi, seppure in precarie condizioni, è quello della parete meridionale del refettorio, nell’angolo con la precedente parete affrescata della sala. Qui sono raffigurate Tre Sante vergini, racchiuse dentro un ampio portale con pilastri sul cui arco spicca un cartiglio con le parole (SANC)TES VIRGINES: della figura di sinistra rimane solamente la parte inferiore dalla vita in giù, avvolta nella tunica, sebbene da vecchie immagini è possibile vederla quasi nella sua interezza. Le tre figure di Sante portano i propri attributi, grazie ai quali appare possibile identificarle: si tratta di Sante care all’Ordine, legate ai Benedettini e tuttavia accomunate da un significativo particolare - oltre al fatto di essere tutte e tre vergini e martiri - che esalta la raffinata committenza dei monaci di Gangi Vecchio.
La prima immagine a sinistra, oggi non più interamente leggibile a causa di una grande lacuna del dipinto, raffigurava santa Lucia: nella mano destra essa portava la palma del martirio mentre con la sinistra reggeva un oggetto - forse un piatto o un libro - dove erano riposti i bulbi oculari, attributi tradizionali del suo martirio. La figura centrale è sicuramente quella che più delle altre si presta a una identificazione: essa rappresenta infatti santa Giustina di Padova. La Santa è riconoscibile dalla iconografia tradizionale che la vede rappresentata come una giovane con un ramo di palma in mano e con un pugnale infisso nel cuore, proprio come nel nostro dipinto. Nata da una distinta famiglia padovana durante il periodo delle persecuzioni cristiane di Diocleziano, messa a morte dai soldati di Massimiano, Giustina è per i monaci Benedettini una delle Sante più importanti in quanto patrona della Congregazione che col suo nome, nel 1408, diede avvio alla riforma dell’Ordine approdata un secolo dopo nella Congregazione Cassinese: il culto per la Santa assunse un valore particolare proprio alla fine del Cinquecento (proprio negli anni in cui nell’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio vengono ultimati i lavori di trasformazione) con la vittoria a Lepanto contro la flotta dei Turchi avvenuta proprio il 7 ottobre 1571, giorno della sua ricorrenza.
La terza Santa raffigurata nella parete meridionale del refettorio di Gangi Vecchio sembra infine potersi identificare con santa Caterina d’Alessandria, anch’essa cara ai Benedettini in quanto patrona dei filosofi e degli oratori: come nella iconografia tradizionale, essa è qui raffigurata con la corona sul capo - che attesta la sua nobile origine - e con una spada in mano, strumento della sua morte inflitta dal governatore Massimino (10).
Tutte e tre queste Sante sono accomunate da un particolare che, forse, giustifica il motivo per cui esse sono state raffigurate insieme nel nostro refettorio: tutte e tre, secondo la tradizione e la leggenda che le riguarda, sono morte nell’anno 304. E’ questo un piccolo ma significativo particolare che testimonia come la scelta di raffigurare tre protagoniste della cristianità non sia affidata al caso o all’inventiva dell’artista, ma obbedisce a un preciso schema iconologico che i Benedettini usano sapientemente nella committenza della loro opera.
Nonostante oggi la gran parte dei cinquecenteschi affreschi del refettorio sia andata perduta, abbiamo la certezza che l’intera sala della mensa dei monaci di Gangi Vecchio fosse coperta di pitture murali. Il frammento di un dipinto superstite si trova infatti nella parete laterale del piccolo vano adiacente l’antica mensa dell’abbazia, che in origine faceva parte della sala: qui, nella parete segnata da una delle lunette, si notano infatti i resti di una figura incorniciata da nubi e da teste di angeli. Questo frammento di pittura, che mostra un braccio coperto e un mantello e che venne interpretato come resto della figura dell’Eterno (11), potrebbe riferirsi invece a un Santo dell’Ordine.
I dipinti che oggi ammiriamo mostrano uno stile severo e rigido, una pittura in cui è ancora presente la cultura figurativa tardo quattrocentesca con tagli rigidi e aspri delle figure e dei brani di luce: qua e là si nota tuttavia una mano diversa e più esperta che porta a pensare a qualche “ritocco” successivo, forse quella del Salerno che fino gli anni Trenta del Seicento opera nelle Madonie o quella dello Zoppo Vazzano che nello stesso periodo lavora per i Benedettini di San Martino delle Scale.
Alla mano di Pietro de Bellio può forse essere ricondotto un altro piccolo brano di pittura murale presente nella nostra abbazia. In un piccolo vano del piano superiore dell’ala occidentale, come già accennato, esiste un incavo del muro di appena 40 x 60 centimetri nel quale è dipinta una piccola ma intensa Pietà i cui colori e i cui tratti riconducono agli affreschi del refettorio: sotto la croce è la Vergine Maria affranta dal dolore col Cristo deposto sulle ginocchia, mentre sullo sfondo un etereo paesaggio mostra i chiarori tenui e al tempo stesso grevi di quell’atmosfera così carica di sofferenza. L’uso di questo vano sfugge alla nostra cognizione, sebbene sia possibile ipotizzare una funzione connessa alle camere che abbiamo indicato come biblioteca e scriptorium dell’abbazia. È però molto probabile che anche questa piccola Pietà faccia parte delle decorazioni ad affresco che i Benedettini di Gangi Vecchio commissionarono al pittore Pietro de Bellio, segni proiettati verso la meditazione, l’ascesi e la contemplazione, dimensione spirituale entro cui i monaci dell’abbazia erano costantemente immersi.
Note
1 - Per la storia dell’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio si cfr. S. Farinella, Santa Maria di Gangi Vecchio. Dalla fondazione del monastero alla dignità abbaziale (1363-1413), in Paleokastro n. 7, giugno 2002; S. Farinella, L’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio. Storia, arte e misteri dell’antico cenobio benedettino, edizione digitale, Gangi 2013.
2 - S. Farinella, L’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio, cit., passim: il volume ha ricostruito le vicende architettoniche dell’antico cenobio benedettino, con documenti inediti e inaspettate sorprese.
3 - Trattando dei dipinti del refettorio di Gangi Vecchio il Nasello, errando, interpretò la data dell’affresco riferendola al 1511: a questa data il Bellio non era ancora nato, se dal suo Rivelo apprendiamo che sarebbe nato solo nel 1523. Cfr. S. Nasello, Gangivecchio (ex Monastero Benedettino), Palermo 1972, p. 54.
4 - C. Guastella, Ricerche su Giuseppe Alvino detto il Sozzo e la pittura a Palermo alla fine del Cinquecento, in AA.VV., Contributi alla storia della cultura figurativa nella Sicilia occidentale tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, Atti della giornata di studio su Pietro d’Asaro, Palermo 1985, p. 51 e nota n. 63 a p. 77.
5 - Archivio Storico del Comune di Gangi (ASCG), Fondo notai defunti, notaio ignoto, contratto del 26 gennaio IV Indizione 1576, vol. IV-V C, c. s. n. Il contratto è citato in G. Mendola, Uno Zoppo a Palermo e un soldato a Gangi. Gaspare Bazzano e Giuseppe Salerno attraverso i documenti e le testimonianze, in in AA.VV., Vulgo dicto lu Zoppo di Gangi, catalogo della mostra, Palermo 1997, p. 28 e nota n. 20 a p. 41. La statua eseguita dal Bellio potrebbe essere quella ancora oggi esistente nella chiesa gangitana di Santa Maria.
6 - G. Mendola, Uno Zoppo, cit., p. 28 e nota n. 21 a p. 41.
7 - ASPA-Ga, Tribunale del Real Patrimonio, Riveli delle anime e dei beni del Regno di Sicilia, riveli di Gangi dell’anno 1593, vol. 1139, c. 398-399 v. La dichiarata età di settant’anni nel 1593 pone dunque la nascita del nostro artista intorno al primo ventennio del Cinquecento, circostanza questa che esclude in maniera evidente la datazione degli affreschi di Gangi Vecchio al 1511 come suggerita dal Nasello.
8 - G. Mendola, Uno Zoppo, cit., p. 28.
9 - ASCG, Fondo notai defunti, notaio Egidio di Salvo, testamento del 24 marzo XIV Indizione 1601, vol. I F 4, c. 235 v-236 v. Il documento è citato anche in G. Mendola, Uno Zoppo, cit., p. 28-29 e nota n. 24 a p. 41.
10 - Sulle vite delle tre Sante e le relative iconografie si cfr. R. Giorgi, Santi, Martellago 2003, p. 77 (santa Caterina d’Alessandria), p. 197 (santa Giustina di Padova), p. 226 (santa Lucia).
11- S. Nasello, Gangivecchio, cit., p. 55.