Il più antico dipinto: il Cristo Pantocratore

di Salvatore Farinella©, tratto da La chiesa dello Spirito Santo in Gangi. Fabbricazione, trasformazioni e fatti d'arte dal 1576 attraverso i documenti inediti, edizioni Valdemone, Assoro 1999 (testo rivisitato in In festivitate Spiritus Sancti. La festa e la processione dello Spirito Santo a Gangi. Storia e tradizione con una guida alla processione e all’iconografia dei Santi, in attesa di pubblicazione, e in Arte a Gangi. Pittura, scultura e arti decorative dal Medioevo al Novecento, in lavorazione)

L’affresco mostra una immagine del Cristo Pantocratore (2) che, secondo monsignor Rocco, è stato realizzato sul modello del Pantocratore di Cefalù (1170 circa): l’analisi della figura rimanda tuttavia a tutte e tre le icone pantocratiche presenti in Sicilia ossia, oltre a quella madonita, anche alle figure del Pantocratore presenti nel duomo di Monreale (dopo il 1174) e nella Cappella Palatina di Palermo (dopo il 1143). Ferma infatti l’impostazione tipica dell’arte bizantina presente nei mosaici e affreschi absidali, in cui Gesù è ritratto in atteggiamento maestoso e severo e benedicente, il Cristo Pantocratore rinvenuto a Gangi richiama il modello di Cefalù nel suo viso scarno, ma nella fissità dello sguardo verso l’osservatore rimanda al modello della Cappella Palatina e nella presenza dei tondi al margine dell’abside rinvia al modello di Monreale: non è improbabile che l’ignoto autore del nostro affresco abbia avuto in mente tutti e tre i modelli citati.

Icone del Cristo Pantocratore a Cefalù, Monreale e nella Cappella Palatina di Palermo (foto web)

Sotto: Icona del Cristo Pantocratore di Gangi, particolare (foto S. Farinella©)

L’immagine di Gangi mostra dunque una icona del Cristo aderente ai tre modelli siciliani: il viso è scarno alla maniera di Cefalù ma lo sguardo è rivolto in avanti come nella Cappella Palatina. A parte la rigidità della figura e del panneggio rispetto ai modelli musivi siciliani, un elemento discordante con la tradizione iconografica è l’uso dei colori della tunica e del mantello: nell’icona di Gangi la veste del Cristo è color oro/arancio mentre il mantello è color porpora anziché blu. Il nimbo invece riporta la croce di colore rosso ma su fondo oro come a Cefalù e a Monreale. Mancano invece le lettere greche che formano il nome di Gesù Cristo, ossia IC XC, presenti ai lati della figura in tutti e tre i modelli normanni. Anche nella icona di Gangi la mano destra è alzata e benedicente, ma non sappiamo se alla maniera greca - con le tre dita unite e le altre due alzate -: il dipinto era particolarmente lacunoso in questo tratto ma il successivo restauro ha interpretato (ricostruito) le dita alla maniera dell’immagine “dello Spirito Santo” attuale, cioè tre alzate a indicare la Trinità e due socchiuse.

La mano sinistra del Cristo Pantocratore di Gangi regge il libro aperto del Vangelo, come nei modelli siciliani: nella pagina sinistra si leggono le parole IN PRINCIPIO ERA(T) VERBUM ET DEUS … OCH ERA(T) (Giov. 1,1-2), dove OCH sta per HOC. Nella pagina destra la frase si è rivelata di difficile lettura anche per monsignor Rocco: «si tratta di otto lettere, separate da vistose lacune, difficilmente colmabili».

Al margine dell’abside sono visibili sette tondi a contornare la figura del Cristo, così come nel duomo di Monreale dove però i tondi sono in numero di nove: ogni cornice circolare contiene una figura di Apostolo, tranne quello centrale che invece porta l’Agnus Dei. Scendendo a destra si riconoscono san Pietro, san Bartolomeo e un Santo non meglio identificato, mentre scendendo a sinistra si vedono san Paolo e san Giovanni evangelista raffigurato col suo attributo specifico, ossia l'aquila: l’ultimo tondo sulla sinistra è troppo lacunoso per riconoscere il Santo raffigurato.

Nella figura di san Giovanni evangelista, raffigurato con l'aquila nel tondo centrale a sinistra, risalta la scritta NARMINAI che monsignor Rocco così ha ritenuto di sciogliere: «S. Giov. Evang. È dato attraverso il suo simbolo, l’aquila, che reca disteso il cartiglio, che lo identifica, con le parole NARMINAI. Queste otto lettere sono da leggere (E)N ARCHI’ (I)N O L(ògos), cioè “In principio era il V(erbo)”: sono parole greche, di cui non si capiva più il significato; quindi sono trascritte in caratteri latini con queste particolarità: manca la E iniziale; il X greco (= CH) venne confuso con N; manca la lettera I, inizio della terza parola, contratta con la I finale della parola precedente; la O (quarta parola) fu trascritta A; e la L, iniziale dell’ultima parola, venne tracciata solo nel tratto verticale, sì che pare una I. Questa spiegazione può sembrare fantastica, ma è sicura. La frase di Giov. 1, 1 nel medioevo era di rito per identificare l’Evangelista».

Secondo monsignor Rocco, il dipinto sembra essere «posteriore al periodo normanno e forse anche svevo», potendosi datare «ipoteticamente al XIII o XIV secolo»: una datazione che oscilla dunque fra gli anni ’60 del Duecento - ultimo periodo svevo quando Gangi, come Geraci e parte delle Madonie, passa al dominio dei Ventimiglia - e i primi decenni del Trecento.

E' questa l’epoca in cui il conte Enrico Ventimiglia e suoi familiari esercitano una certa influenza sulla città demaniale di Cefalù e soprattutto sul duomo normanno che conserva la figura del Pantocratore: ma è anche il periodo in cui il borgo di Gangi, ribelle al Sovrano, subisce l'assedio dello stesso Conte nei fatti del 1299, salvo poi vedere rinforzate le sue difese dal suo stesso signore. E' perciò probabile che l'affresco del Cristo Pantocratore nella chiesa di Santa Caterina d'Alessandria, oggi chiesa e santuario dello Spirito Santo, possa essere riconducibile all'azione ricostruttrice del conte di Geraci Enrico Ventimiglia, signore del borgo di Gangi.

 

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Note

 

2 Il termine Pantocratore - dal greco “Pan” cioè tutto e “Kratos” potere - vuol dire “Colui che governa l’Universo” o “Sovrano di tutte le cose” o ancora “Colui che contiene tutte le cose” o anche “Dominatore su tutto”: nell’iconografia tradizionale l’immagine del Cristo Pantocratore è rappresentata a mezzo busto, con la mano destra benedicente alla maniera della tradizione ortodossa.