Gaspare Fumagalli e i dipinti nelle volte del palazzo Bongiorno. Un giallo nella Sicilia artistica del Settecento

di Salvatore Farinella©, testo pubblicato in Le Madonie n. 2, 1999 

Gaspare Fumagalli e Pietro Martorana, Affreschi, Palazzo Bongiorno, 1757/58 (foto S. Farinella©)
Gaspare Fumagalli e Pietro Martorana, Affreschi, Palazzo Bongiorno, 1757/58 (foto S. Farinella©)

Si tratta di un documento con il quale, il 26 dicembre 1757, il barone Francesco Benedetto Bongiorno registra, presso il notaio gangitano Andrea Cammarata, la liquidzione di alcune somme pagate al Fumagalli per l’esecuzione di alcuni degli affreschi realizzati nel suo nuovo palazzo [8]. Nel documento è detto che «Gasparus Fumagalli felicij et fid(el)es Urbis Panormi…» ha ricevuto dallo Sp(ectabil)e D(on) francisco Bongiorno 12 onze e 5 tarì in diverse soluzioni; proseguendo però si dice che sono state altresì liquidate altre 36 onze «… pro Petrum Martorana …», con apoca (ricevuta) del 12 agosto 1757 agli atti dello stesso notaio, «… et alias uncias duos tt [tarì] duos et g(ra)nos septem receptor pro d(ic)to de Martorana …» con ulteriore apoca del 2 settembre dello stesso anno [9]. La somma veniva pagata «…in compotum mercedis ut d(icitu)r delle Pitture fatte e da farsi nelle volte delle camere e [lacuna] l’oratorio della casa nova di d(it)to Sp(ettabi)le di Bongiorno, fatti a tenore delli disegni concertati dal principio dal d(it)to Sp(ettabi)le di Bongiorno d’una p(ar)te e Martorano e fumagalli in sol(ido) d’altra p(ar)te e del concerto fatto …».

Dall’inedito documento appare subito evidente che ad eseguire i dipinti del palazzo Bongiorno a Gangi (finora riconosciuti al solo pittore romano) non sia stato solamente Gaspare Fumagalli ma anche un altro artista palermitano, il pittore Pietro Martorana (ossia il terzo personaggio della vicenda finora mai comparso nella storia dei dipinti) che nello stesso periodo operava a Palermo: anzi sembra proprio che quest’ultimo concorra insieme al Fumagalli (in solido) e alla pari alla commissione dell’opera da parte dei Bongiorno. Pietro Martorana (1700 ca – 1759), padre del più noto Gioacchino, aveva eseguito i dipinti nella volta della chiesa del monastero di San Carlo [10]. Non siamo ancora a conoscenza del contratto con il quale il barone Bongiorno commissionava ai due artisti, il Fumagalli e il Martorana, i dipinti per il proprio palazzo di Gangi: ma un altro documento risalente a qualche mese prima ci aiuta a fare un po’ di luce circa i rapporti che legavano i due artisti. Si tratta di una Procuratio ad baptizandum pro d(on) Gandulpho Bongiorno in personae d(on) Nicolai Palma, datata 25 settembre 1757, agli atti del notaio gangitano Mario di Chiara [11]: in essa si legge chiaramente «… Gaspare et Rosaria fumagalli et martorana jug(ali)bus …». Questo particolare fa pensare che il noto artista romano possa avere sposato la figlia di Pietro Martorana (Rosaria appunto), considerato anche che il Martorana, in questo periodo, ha l’età di circa 57 anni e che dunque avrebbe potuto essere padre di costei: la circostanza, quindi, porta a ritenere Pietro Martorana suocero del Fumagalli e, nulla toglie che lo si possa immaginare accanto all’artista romano nella decorazione dei vari palazzi dell’aristocrazia settecentesca. La presenza del Martorana segna dunque indubbiamente una nuova strada nella storia dei dipinti del palazzo Bongiorno e, chissà, forse anche in altre opere attribuite a Gaspare Fumagalli.  


 

Ma, accanto all’apparizione del terzo protagonista, si diceva che un altro elemento fa tingere la vicenda ancora più di giallo: una asserzione fatta dallo stesso Fumagalli nel contesto del medesimo documento (sopra citato) relativo al pagamento di alcune somme per le pitture nelle volte del palazzo Bongiorno. Scorrendo infatti il documento del notaio Cammarata, si legge che delle pitture restavano «… a farsi tre quadroni, cioè della sala, anticamera e camerone, e nell’Archittendo (?) delli mede(si)mi si devono fare li fiori, pelli, miraglie, arme gentilizie, frutti, crocchiole, maschere e putti che lasciò detto fumagalli per non saperli fare come il mede(si)mo asserisce, restando in suo robbore l’obbliga(zio)ne [che] tiene d(it)to di fumagalli in sol(ido) con d(it)to di Martorana, in perfezzionarsi d(it)to serviggio da espedirsi di tutto punto delle figure di d(it)ti quadroni, ed altri di q(uan)to (?) dichiarati nell’Architettura a ten(or)e del concerto fatto, stante doversi spedire da q(ues)to Pittore, che deve travagliare le figure di d(it)ti quadroni, come tutto ciò asserisce il mede(si)mo di fumagalli …».

La dichiarazione del Fumagalli testé riportata, asserita e ribadita davanti al notaio rogante e ai due testimoni (D(on) Sanctus Randazzo e d(on) Dominicus Balistreri), benchè non metta in discussione il talento e l’estro del grande artista romano, ha tuttavia dell’incredibile: il pittore delle strabilianti invenzioni architettoniche, il maestro delle grandi suggestioni scenografiche e dell’ardito illusionismo spaziale che asserisce di non saper fare quei ricchi e particolari motivi ornamentali che, oggi, sono considerati come i caratteri fondamentali del repertorio decorativo dell’artista. Si potrebbe pensare (come pura ipotesi) che l’affermazione fatta dal Fumagalli al suo committente possa essere stata solamente una sorta di scusante per giustificare, in qualche modo, un imminente ritorno dell’artista a Palermo, per questioni di lavoro, lasciando così l’opera in quel di Gangi incompiuta; ma l’impegno a ultimare le decorazioni nel palazzo, ribadito dallo stesso Fumagalli nel medesimo documento, non sembra dare adito a una ipotesi di rapporto conclusivo fra lo stesso artista ed il Bongiorno.

Ma, se dunque al Fumagalli e al Martorana rimaneva solamente l’obbligo di ultimare i tre quadroni e le relative figure, il tenore del documento ci fa porre una ulteriore insidiosa domanda: se cioè esista, in questa vicenda artistica tinta di giallo, un quarto protagonista, ossia un altro artista che in quella fine degli anni ’50 del Settecento abbia preso parte (come Pietro Martorana) all’esecuzione dei dipinti nel palazzo Bongiorno (evidentemente solo per la parte riguardante i motivi ornamentali non saputi eseguire dal pittore romano), dipinti che tuttavia furono firmati Gaspar Fumagalli Romanus.

E’ probabile che nuovi elementi di contraddizione possano sorgere da futuri, inediti apporti documentali che la continua ricerca archivistica potrà riservare, a testimonianza dell’opera di altre personalità artistiche operanti a Gangi in quegli stessi anni (e nel corso di tutto il Settecento) delle quali si hanno già inedite e sorprendenti novità che, presto, si auspica di rendere note.    

 

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Note

 

[8] E. GAETANI, MARCHESE DI VILLABIANCA, Le divine arti della pittura e della scultura, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1988, pag. 36.

[9] Archivio di Stato di Termini Imerese, notaio M. Di Chiara, vol. 7084, f. 29 r/v. Gandolfo Felice Bongiorno, personaggio poliedrico e di estremo interesse del Settecento gangitano e madonita del quale, chi scrive, ne sta approfondendo la personalità, era fratello del barone Francesco Benedetto e Principe dell’Accademia degli Industriosi di Gangi oltre che architetto e poeta.

[10] Archivio di Stato di Termini Imerese, notaio A. Cammarata, vol. 7053, f. 281-282.

[11] Non è stato possibile trovare, fra gli atti del notaio Cammarata, i due documenti a cui il testo fa riferimento.