La torre detta "dei Ventimiglia" a Gangi fra "pinnaculum", Cavalieri di Malta e altri abbagli storici, passando dalla fondazione di Gangi e da uno stemma araldico di stravagante lettura: risposta a Mario Siragusa su discutibili, presunte "certezze" - 2^ Parte

di Salvatore Farinella©, testo inedito - dicembre 2014

4 - Sull’interpretazione di intus pinnaculum

 

- Secondo l’articolista «la stessa espressione [da me] usata in qualche documento non chiaramente indicato (nell’art. citato), vale a dire “intus pinnaculum”, potrebbe in realtà essere stata interpretata in modo inesatto»: a sostegno di ciò lo stesso articolista riporta come «da un documento del 10 gennaio 1573, tratto da un registro notarile di notar E. De Salvo (f.151) [di cui si guarda bene dal citare il volume, alla faccia della chiarezza delle indicazioni] conservato presso il locale archivio storico comunale, si evince che non si tratterebbe di “intus” (“dentro”) ma di altra parola, scritta in forma abbreviata, probabilmente Iu(x)ta. Per cui abbiamo “Iu(x)ta pinnaculum”, traducibile così: “vicino”, “di lato” o “accanto al pinnacolo” (particolare sommitale a punta che poteva sorgere sulla stessa Chiesa o sul vicino campanile e che trasmetteva la propria denominazione alla struttura architettonica a questa connessa). Pensiamo che la “u” di “iu(x)ta” sia stata interpretata in modo inesatto come “n”(da cui “intus”)».

 

ASCG, Fondo notai defunti, atto del 4 settembre 1577, notaio ignoto, vol. Ign-8, c. 245 (foto S. Farinella©)
ASCG, Fondo notai defunti, atto del 4 settembre 1577, notaio ignoto, vol. Ign-8, c. 245 (foto S. Farinella©)

La fantasiosa interpretazione dell’articolista - che equivale a una arrampicata sugli specchi - è presto confutata dall’immagine del testo del documento in questione sopra riportata, nel quale si legge in maniera chiara, evidente e inequivocabile il termine “intus” (dentro) e non il termine “iuxta” (presso) maldestramente proposto dall’articolista. Chiunque fa ricerca d’archivio (soprattutto chi, come l’articolista, lo fa per professione essendo dottore di ricerca in storia contemporanea) sa che il termine va letto intus (dentro), poiché nelle abbreviazioni notarili il segno 9 (che assomiglia a un nove) altro non è che la desinenza us, come in eius, huius, filius, ecc. (cito Lexicon Abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature latine e italiane, a cura di A. Cappelli, Modena 1929, edizione Dizionari Hoepli, Milano 1985, p. XXIV-XXV): e poi è talmente chiara la differenza fra intus e iuxta  che chiunque vada per archivi non può avere alcun dubbio in merito. Ciò sta a dimostrare come l’articolista non sia pienamente edotto della ricerca archivistica e della lettura delle carte d’archivio.

Ma c’è di più. Proseguendo nel suo discorso, l’articolista pone in dubbio («se mai fosse vera e corretta l’ipotesi») lo svolgimento «di riunioni comunitarie “interne al pinnaculum”». Anzi sostiene che «In realtà, le cose andavano diversamente. Non abbiamo alcuna prova storica di un siffatto utilizzo in Sicilia»: egli stesso afferma che le riunioni cittadine avvenivano «intus Matricem Ecclesiam» (dentro la chiesa madre)» e anche che «le riunioni civiche si tenevano nelle vicinanze del pinnacolo della Chiesa Madre (particolare elemento architettonico un tempo probabilmente posto sul medesimo tempio o sulla vicina torre campanaria)»


Il portico laterale (pinnaculum) della matrice vecchia di Castelbuono (foto da web)
Il portico laterale (pinnaculum) della matrice vecchia di Castelbuono (foto da web)

Nel mio articolo del novembre 2013 (ma in tutte le occasioni in cui ho scritto sull’argomento) ho attestato che sia la chiesa di San Nicolò (a volte) che lo spazio laterale della pinnata - il portico meridionale della stessa chiesa - venivano utilizzati «insieme al piano terra della torre» (adiacente) per le adunanze popolari. All’affermazione dell’articolista secondo cui non vi è «alcuna prova storica di un siffatto utilizzo in Sicilia» di riunioni cittadine intus pinnaculum (ossia all’interno del pinnaculum), mi basta riportare quanto ha scritto lo studioso madonita Orazio Cancila (già professore ordinario di storia moderna) in proposito: «Anche Simone [Ventimiglia] continuava a essere pesantemente indebitato e, nel gennaio 1504, a diciotto mesi di distanza dalla investitura feudale, doveva ancora all’erario i diritti di successione (decima e tarì o relevio) per un importo di o. 20, cosicché il viceré, su sollecitazione del collettore Pietro di Spagna, dovette nominare un commissario con l’ordine di recarsi nel marchesato per costringerlo a pagare, ricorrendo eventualmente anche al sequestro di beni e alla loro vendita all’asta, che di solito a Castelbuono si teneva sotto la tettoia della Matrice («intus pinnaculum Maioris Ecclesiae»)» (cito O. Cancila, Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, in Quaderni di Mediterranea. Ricerche storiche, n. 21/2013, p. 65). A Castelbuono, dunque, si rileva l’esatta medesima locuzione “intus pinnaculum”, dentro il pinnacolo (e non iuxta pinnaculum, come sostiene l’articolista), che altro non era riferita che alla pinnata, il portico laterale della chiesa madre: così a Castelbuono, così a Gangi e così a Gerusalemme (vedi sopra).

 Un documento del 15 agosto 1710 (che ho già citato nel mio articolo del novembre 2013, sotto inchiesta da parte dell’articolista) riferito alla costruzione dell’oratorio del SS. Rosario nella chiesa madre, utilizza entrambi i termini per indicare il medesimo manufatto o luogo: subtus pennaculum nella parte latina e sotto la pennata nella parte volgare (vulgariter loquendo) del medesimo documento (cito ASCG, documento del 15 agosto 1710, notaio Antonio li Destri, vol. IIIG1, c. 665-671v).

Da ciò appare chiaro quanto ho sostenuto nel mio articolo del novembre 2013, e altrettanto chiaro appare l’abbaglio preso dall’articolista «sul piano storico e filologico» con la sua tesi piuttosto traballante: il pinnaculum non era la guglia in stile gotico o di gusto goticheggiante o tardogotico “visibile e palpabile” posta dove sorge oggi è la cupola e il cupolino o, in alternativa, sulla torre campanaria, né la sottile guglia conica o piramidale di stile gotico né “in subordine” una “cupola su pennacchi di stile bizantino”. Il termine pinnaculum, nel nostro contesto, era semplicemente riferito alla pinnata, ossia al luogo di riunione civica: e anche l’identificazione da me fatta con la torre della chiesa madre - alla luce di quanto sopra esposto - non era del tutto pertinente, sebbene non sia inverosimile che le arcate della torre potessero accogliere le riunioni cittadine essendo le tre strutture (la chiesa, la torre e la pinnata) fisicamente collegate e perciò il termine pinnaculum avrebbe potuto intendere anche l’intera struttura pinnata-torre. Il pinnaculum della nostra chiesa era dunque un luogo assembleare pubblico e non un motivo architettonico.

Le invocate «ragioni iconografiche», le «ragioni filologiche dettate dalle fonti», il «raffronto tipologico», «le peculiarità dello stile architettonico» come anche il «fatto che si trattava di strutture religiose che intrinsecamente erano corredate da tipiche soluzioni architettoniche del tipo in esame», tutto questo che secondo l’articolista giustifica che «con ogni probabilità» (non più dunque una certezza) sulla chiesa madre o sulla torre vi fosse «un elemento architettonico sommitale a punta» cade vertiginosamente alla luce dei riscontri documentali e degli esempi evidenti che ho portato.

 

La torre detta "dei Ventimiglia" (foto S. Farinella©)
La torre detta "dei Ventimiglia" (foto S. Farinella©)

5 - Sulle riunioni degli Organi comunali

 

- Scrive ancora l’articolista che «gli organi comunali citati [consiglio cittadino e, impropriamente, amministrazione comunale] si riunivano invece nella pinnata (tettoia o porticato) della Chiesa Madre e/o in una apposita “casa giuratoria” (di cui abbiamo però notizie certe risalenti al XVIII sec. e comunque non coincidente con la nostra torre ecclesiale) (ndr, rif. in: Libro esiti Università di Gangi, aa. 1782-83, conservato nel locale arch. storico comunale) [solita carenza nella citazione delle fonti da parte dell'articolista]; “casa”, si badi bene, non “torre” giuratoria o dell’Università».

E prosegue ancora affermando che «sembra alquanto improbabile che un consiglio si riunisse dentro un campanile, specie se il primo avesse avuto (come in realtà ebbe) delle ampie basi partecipative. L’espressione che indica che a parteciparvi dovesse essere “la maiorem partem populi” (la maggioranza del popolo, cioè dei capifamiglia del borgo), come nel caso delle assemblee degli anni Settanta del XVI secolo, rendeva inidonea una tale struttura allo scopo».

Infine l’articolista sentenzia sulla “proprietà” dei luoghi, per cui «una ipotetica concessione ecclesiastica di siffatte strutture come sedi dei consigli civici non ne mutava lo status patrimoniale, facendole divenire di proprietà comunale (palazzo comunale). Tali porticati, talvolta collegati alle torri campanarie o posti nelle loro adiacenze, potevano, per ipotesi, essere oggetto di un’applicazione estensiva ed un po’ impropria del termine pinnaculum riferito originariamente alla guglia sovrastante l’edificio religioso o alle sue immediate pertinenze: per cui poteva scriversi che le riunioni civiche si sarebbero tenute “intus pinnaculum” della Chiesa». L’arzigogolare dell’articolista, alla luce del passo del Cancila, è strabiliante! Ed è stupefacente leggere come, adesso che si tratta di una sua ipotesi, sia possibile leggere intus pinnaculum anziché iuxta pinnaculum: una bella coerenza.

- Anche su questo argomento, come al solito, l’articolista opera una lettura parziale del mio articolo del novembre 2013, e come al solito omette i riferimenti corretti ai documenti citati (mancano data e numero delle carte o fogli): e come al solito mi tocca controbattere con argomentazioni oggettive e, ritengo, più coerenti rispetto a quelli proposti dall’articolista.

La mia ipotesi che la torre detta “dei Ventimiglia” fosse una torre civica, probabilmente anche utilizzata per le riunioni non del "consiglio cittadino" (come vuole fare apparire l’articolista) ma dell’”amministrazione cittadina” (concetti poco chiari all'articolista) - composta da quattro Giurati, un Sindaco, un Tesoriere e da poche altre figure (al massimo 10 persone e non “la maiorem partem populi”) - è riferita a un’epoca antecedente la funzione di campanile (svolta dalla torre almeno dalla metà del Cinquecento, per quel che ne sappiamo), dunque in un’epoca compresa fra il XIV e il XV secolo (come dall'esempio di Nicosia che ho citato): non ho mai sostenuto che la torre, dopo la metà del XVI secolo, fosse una “torre giuratoria” (assolvendo da questo periodo in poi il ruolo di torre campanaria), caso mai avrebbe potuto esserlo prima, cioè fra Trecento e prima metà del Cinquecento.

 

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