1 gennaio 1926. "L’assedio" di Gangi e il Prefetto “di ferro” Cesare Mori                                                    Nuovi documenti sul dopo assedio, fra cittadinanze onorarie, voti di plauso e lettere autografe, nel 90° anniversario degli eventi

di Salvatore Farinella©, testo inedito, 1 gennaio 2016

(questo testo è stato composto fra la metà di dicembre 2015 e il 1° gennaio 2016 per fare memoria degli eventi, da storico, nel 90° anniversario dell'assedio: esso tuttavia è stato postato qualche giorno dopo per rispetto di un convegno sul medesimo argomento che si svolgeva il 3 gennaio successivo)    

Benito Mussolini a pranzo col barone Li Destri nella sua visita a Gangi il 6 maggio 1924 (foto tratta da A. Spanò, "Faccia a faccia con la mafia", 1978
Benito Mussolini a pranzo col barone Li Destri nella sua visita a Gangi il 6 maggio 1924 (foto tratta da A. Spanò, "Faccia a faccia con la mafia", 1978

La vicenda prese avvio nel 1924, nel corso di una visita in Sicilia di Benito Mussolini: visita che portò il capo del governo anche nel borgo di Gangi, sperduto paese dell’entroterra delle Madonie. L’evento, oltre che nella foto di un banchetto allestito in suo onore dal barone Li Destri e pubblicata da Aristide Spanò [6], è testimoniato da due documenti del periodo: si tratta di due delibere del «Cav(aliere) Uff(iciale) Prof(essore) Girolamo Montesano Commissario Prefettizio per la temporanea amministrazione di questo Comune» che allora reggeva le sorti del paese e che con grande enfasi, com’era solito a quei tempi, assunse due interessanti determinazioni.

La prima è del 6 maggio 1924, giorno in cui Mussolini «verso le ore 14 si soffermerà alcuni istanti vicino la strada di accesso di questa città» [7]: assunti i poteri del Consiglio e «in adempimento dei voti espressi dal Comitato Cittadino costituito in Gangi il giorno due del corrente mese allo scopo di dare le volute onoranze a S(ua) E(ccellenza) il Presidente del Consiglio […] considerando che tale avvenimento assume i caratteri di eccezionalità, date le virtù preclare dell’uomo di governo restauratore della nuova Italia», il Commissario determinò di «murare una targa ricordatrice in marmo sul luogo stesso della fermata di S(ua) E(ccellenza) Mussolini, cioè sulla via Nazionale di fronte alla strada di accesso alla Città e precisamente all’estremo inferiore del fabbricato del fondaco, con la seguente scritta: “Benito Mussolini Primo Ministro della Nuova Italia. Nel suo giro di amorosa indagine in Sicilia qui sostò il 6 maggio 1924” […]». La targa rievocativa del passaggio di Mussolini per Gangi, oggi non più esistente, era posta dunque nel muro prospiciente di quello che oggi chiamiamo bivio dello “Specchio”.

Con la stessa determinazione il Commissario Prefettizio volle anche «conferire a S(ua) E(ccellenza) la medaglia commemorativa, votata e fatta incidere dal Comitato cittadino a sue spese, in nome della Città. Tale medaglia che sarà dal sottoscritto consegnata personalmente a S(ua) E(ccellenza) è in oro e reca nel retro l’emblema di Gangi contornato da spighe di frumento e nel verso la scritta: “a Benito Mussolini Gangi 6 Maggio 1924”. Essa fu coniata a Palermo dall’orefice Fiorentino».

La seconda delibera è del 1 giugno 1924, circa un mese dopo il passaggio di Mussolini da Gangi, e reca il titolo Conferimento cittadinanza onoraria a S(ua) E(ccellenza) Mussolini [8]. Ancora il Commissario Montesano, «tenuto presente che il popolo di Gangi per mezzo dei presidenti di tutte le associazioni locali ha fatto conoscere essere suo vivo desiderio quello di conferire la cittadinanza onoraria al grande Italiano S(ua) E(ccellenza) Mussolini, tenuto presente la concorde spontanea manifestazione di tutto un popolo che vuole con tutti i mezzi manifestare il suo attaccamento a che ha voluto e saputo salvare la Patria dal baratro bolscevico ristabilendo l’autorità dello Stato, in via di urgenza e con i poteri del Consiglio determina conferire la cittadinanza onoraria della Città di Gangi a S(ua) E(ccellenza) Benito Mussolini disponendo in tale determinazione gli sia oggi stesso notificata telegraficamente».

Dal viaggio in Sicilia, nel quale ricevette gli onori del caso - e, a Gangi, la targa commemorativa, la medaglia d’oro e la cittadinanza onoraria -, Mussolini rimase profondamente colpito dal dilagante fenomeno del brigantaggio e della mafia del feudo, ragione per cui decise di mettere fine a quel potere che avvertiva pericoloso per la sua politica e che minava l’autorità dello Stato che egli stesso incarnava: il capo del governo «si era dunque convinto della necessità - per il bene del fascismo, forse, più che della Sicilia - di sradicare, una volta per tutte, la mafia. E riteneva che il primo passo da compiersi fosse […] quello di individuare l’uomo giusto che - con ampiezza di poteri e senza intromissione di altri organismi istituzionali - fosse in grado di infliggere un colpo mortale alla delinquenza, che del fenomeno rappresentava il braccio armato e l’aspetto quanto meno più appariscente» [9]. Per giungere a tale risultato alla fine dello stesso mese di maggio 1924 Mussolini inviò a Trapani il Prefetto Cesare Mori, già prefetto a Bologna, e l'anno dopo a Palermo con ampi poteri repressivi.

Il Prefetto "di ferro" Cesare Mori (foto da web)
Il Prefetto "di ferro" Cesare Mori (foto da web)

L’azione del prefetto Mori contro la mafia del feudo durò alcuni mesi e alla fine egli chiuse il cerchio proprio sulle Madonie che in seguito descrisse come «un pittoresco gruppo montuoso, bello come una piccola Svizzera mediterranea, comandato dai briganti. Legati alla mafia, che li protegge e li utilizza, essi vi imperversano con attività di ogni specie: controllano l’amministrazione della cosa pubblica, riscuotono i tributi dei loro “amministrati”, decidono degli appalti, scelgono gabellotti e campieri, intervengono nei più intimi rapporti familiari (eredità, matrimoni, controversie), regolano la restituzione delle refurtive, difendono chi paga regolarmente il “pizzu”, combattono le bande forestiere che sconfinano nel territorio, applicano rigorosamente la loro legge facendo delle Madonie uno stato nello stato […] Tutto questo aveva conferito alla mafia delle Madonie tale prestigio per cui la sua superiorità era riconosciuta da tutta la malvivenza dell’isola […] In complesso [sono] presenti sulle Madonie 130 latitanti armati, polarizzati intorno a tre piccoli gruppi, capeggiati dai banditi Andaloro, Ferrarello, Dino ed altri minori» [10].

L’epilogo della vicenda avvenne nella notte fra l’1 e il 2 gennaio 1926, quando il borgo di Gangi venne cinto d’assedio da un piccolo esercito di 800 tra carabinieri, poliziotti e uomini della milizia fascista coordinati dal commissario Francesco Spanò, mentre le masserie di affiliati e familiari dei briganti venivano sistematicamente rastrellate. Il mattino seguente il Prefetto ordinò al sindaco barone Sgadari di intimare la resa dei latitanti entro le dodici ore successive, pena la ritorsione contro le famiglie. Come riporta un telegramma del 3 dicembre 1925, l’azione dell’assedio di Gangi (una pura operazione di polizia) era stata pianificata da più di un mese: «Duce, […] E’ prossimo a totale rastrellamento il borgo di Gangi, e località resistenti limitrofe poichè pericolosissime e sedi di genti sovversive. Poichè di assassini e [illegibile] […]» [11].

Il Prefetto Mori nel corso di una operazione di polizia (foto da web)
Il Prefetto Mori nel corso di una operazione di polizia (foto da web)

In quel tempo Gangi era ancora il più grosso centro delle Madonie, con i suoi 15.753 abitanti censiti nell’ultima rilevazione della popolazione del 1921 [12] (a ottobre del 1926 gli abitanti erano 15.328 [13]). All’alba del 2 gennaio i Reali Carabinieri invasero dunque l’abitato alla ricerca di quei rifugi, dando inizio all’operazione repressiva di polizia. Nel corso dell’azione, durata circa una settimana, vennero arrestate circa 400 persone fino a quando, intorno a mezzogiorno, il patriarca Gaetano Ferrarello si consegnò nell’ufficio del sindaco Giuseppe Sgadari mettendo fine a trentacinque anni di latitanza: nell’arco di pochi giorni vennero arrestati quasi tutti i 130 banditi delle Madonie e gli altri gregari. Il 10 gennaio il Prefetto Mori percorse le Madonie portandosi in tutti centri abitati della zona insieme al federale Alfredo Cucco di Castelbuono. L’intervento contro i briganti delle Madonie aveva dato i suoi frutti ma, sebbene il processo intentato a Termini Imerese si concludesse con la sentenza del 10 gennaio 1928 e con la condanna di 146 imputati, come sempre accade ci si era fermati prima del punto di non ritorno: prima cioè che si potesse mettere le mani sul livello più alto della mafia del feudo, quella dei colletti bianchi che dei briganti madoniti si era servita e su cui lo stesso Mussolini aveva esortato Mori di «proseguire sino in fondo senza riguardi per alcuno in alto o in basso». 

 

Note

 

6   A. Spanò, Faccia a faccia con la mafia, Verona 1978.

ASCG, Fondo Atti del Consiglio Comunale, determina n. 17 del Commissario Prefettizio in data 6 maggio 1924, Onoranze a S.E. Mussolini, vol. 22, 1920-1925, p. s.n..

8  Ivi, determina n. 19 del Commissario Prefettizio in data 1 giugno 1924, vol. 22, 1920-1925, p. s.n..

9  G. Tessitore, Cesare Mori, cit., p. 88.

10  C. Mori, Con la mafia ai ferri corti, Milano 1932, p. 292.

11 Mori, “Il prefetto di ferro” decise: Piazza Armerina capoluogo. Mussolini era d’accordo ma non se ne fece nulla, articolo 1 aprile 2014 sul sito www.vivienna.it.

12  Fonte ISTAT.

13  ASCG, Nota di riparto delle spese sostenute dal Comune [di Petralia Sottana] nell’esercizio 1925 per l’Ufficio di attivazione del nuovo catasto, 7 ottobre 1726, carta sciolta.

 

 

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