La chiesa madre di Gangi. Dall’aula al bastione: un cantiere lungo un secolo (1618-1730)
di Salvatore Farinella©, testo inedito settembre 2011
Nel 1664 la chiesa madre era infatti ancora al centro di notevoli interventi, con due contratti affidati a maestranze di Petralia Sottana. A ottobre i «Magistri franciscus Jo(ann)es Petrus et Michael ragona pater et filij terre Petralie inferioris» si obbligavano infatti con i deputati della fabbrica a «construere tectum d(itt)e matricis Ecc(lesi)e» (10) per una mercede di 20 onze, col patto «che durante l’opera sud(ett)a d(ett)i deputati siano obligati dare alli sud(ett)i obligati una stanza con due lecti fornuti cioè di matarazzi e frazzatti»; poche settimane dopo i «Magister Joseph Antonius et Thomas Mancuso pater et filij terre petralie inferioris» si obbligavano ancora con i deputati a fare «lo tecto della matrice Ecc(lesi)a della nave iusta formam designi ... di bordoni forfici cagnoli serratizzi tavoli chiova» per un compenso di ben 80 onze e ancora col «pacto che durante la sud(ett)a opera li deputati siano obligati dare a d(ett)i obligati una stanza per loro albergo due matarazzi con due coperture gratis» (11): non sappiamo se le due famiglie di artigiani lavorarono insieme al tetto della chiesa o se la seconda subentrò nel lavoro.
Sorvolando su tutta una serie di interventi che nella seconda metà del secolo vedranno ancora coinvolti i vari Morina, Mancuso, Ragona e altre maestranze - come per esempio mastro Cosmo Gugino di Caltavuturo - di cui si darà contezza in altra sede, fra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento la chiesa madre di Gangi fu oggetto di nuovi importanti lavori che contribuirono a definire soprattutto gli ambienti sottostanti al piano dell’edificio e che coinvolsero l’antica cinta muraria dell’abitato: è da ritenere infatti che, all’epoca della sua fondazione, la chiesa di San Nicolò e lo spazio laterale della pinnata - il portico meridionale della stessa chiesa utilizzato insieme al piano terra della torre per le adunanze popolari - poggiavano su un vasto piano artificiale sorretto dalle imponenti mura di età normanna, formato da altissime volte ogivali disposte in sequenza, necessarie dal punto di vista costruttivo per alleggerire l’imponente struttura (12). Ancora una di queste volte (dell’altezza di oltre 12 metri e per una profondità di circa 8,00 metri, poggianti su muri di oltre due metri di spessore) è fortunatamente conservata e visibile nelle strutture del vecchio carcere mandamentale, mentre il passo delle altre è perfettamente leggibile nella struttura del carcere stesso. È proprio su queste volte che fra gli anni ’90 del Seicento e gli anni ’30 del Settecento l’Università di Gangi e i procuratori della chiesa madre faranno effettuare imponenti lavori per realizzare «li bastioni di detta matrice» e imprimere così l’odierno aspetto all’edificio e al contesto urbano.
Tutta una serie di contratti e di note di pagamento attestano infatti a partire dal 1695 la continua fornitura di calcina e di pietre dalla «pirrera sotto le case del Salvatore vecchio» o dalle «pirrere di Maria verginella del Carmine e della Trinità» e addirittura l’acquisto di case «pro servitio fabrice», o i continui lavori «per pirriare nelli fossi delli bastioni che si devono fare per riparo della chiesa madre» e ancora «in fabricando fabrica novi … fatta ut d(icitu)r nelli bastioni di d(ett)a matrice» (13): il tutto anticipato dal viaggio dei deputati della fabbrica della chiesa madre ad Assoro, nel gennaio del 1692, per concertare col principe di Gangi don Giuseppe Valguarnera e Graffeo i lavori e le somme da impegnarsi da parte dell’Università (14).
All’opera parteciparono diverse maestranze, come i mastri Giuliano, Prospero, Carmine e Vincenzo di Maio, Ignazio Castello, Giuseppe Sabella, Pietro Biotta e altri, oltre a maestranze forestiere come per esempio quell’inedito intagliatore lapideo mag(ister) Marcus ant(oni)nus gallo terra grimaldi regni calabrie che venne chiamato a realizzare il «cordone e finestronello del bastione della matrice»: i lavori al bastione della matrice continuarono almeno fino al 1727 e diversi di questi artigiani (soprattutto i de Maio) li vedremo impegnati a partire dall’anno seguente, insieme ad altri, nella definizione della nuova chiesa della Badia delle Benedettine.
La realizzazione del bastione ebbe i suoi effetti anche e soprattutto all’interno della chiesa madre. La chiusura delle antiche volte ogivali consentì infatti di ricavare nuovi locali: un documento del 1710 attesta infatti come quei lavori permisero ai confrati della Compagnia del SS. Rosario (sorta in chiesa madre nel 1703) di ottenere, col consenso del conte d’Assoro e principe di Gangi don Francesco Saverio Valguarnera, l’utilizzo degli «archi di sotto la pennata di detta Matre Chiesa» che loro stessi si impegnavano a «empire di fabrica» per farne la sede della Confraternita ancora oggi qui esistente (15). Ancora un documento dell’ottobre 1721 testimonia poi la nascita, da quei poderosi interventi, della “sepoltura dei sacerdoti” nella chiesa madre, meglio nota come ‘a fossa di parrìni: un atto del 22 ottobre di quell’anno riporta infatti la richiesta di licenza del clero di Gangi all’Arcivescovo di Messina per la realizzazione della loro sepoltura in «un luogo sotto l’ala destra della Chiesa Madre … che era dell’Uni(versi)tà» (16).
In un secolo di impegnativi lavori la chiesa madre di Gangi aveva cambiato dunque radicalmente il suo volto: sarebbero occorsi ancora altri due secoli per ultimare definitivamente le trasformazioni dell’edificio sacro e giungere all’aspetto odierno. Ma queste circostanze fanno parte di un’altra storia.
Prima di chiudere queste sintetiche note, mi occorre fare qualche appunto sul presunto pennaculum della chiesa madre di Gangi, così come è stato inteso in un articolo dal titolo Dalla guglia alla cupola (Espero 1 ottobre 2010, p. 6): qui, sulla base di “documenti settecenteschi”, è stato asserito che «la Chiesa Madre dovesse avere un pinnacolo sulla sua sommità», una vera e propria «guglia in stile gotico … dove oggi sorge la cupola e il cupolino, quindi sul lato est della Chiesa … oppure nell’adiacente Torre campanaria medievale in stile gotico fatta costruire dai Ventimiglia» [sic]. Il supposto pennaculum sarebbe stato dunque «una variante gotica della guglia strictu sensu … [e sarebbe] certa l’esistenza di un pinnacolo che sembrerebbe essere stato riconducibile a un gusto goticheggiante o tardogotico visibile e palpabile … almeno sino ai primi anni del Seicento»: esso sarebbe stato in definitiva una «sottile guglia conica o piramidale di stile gotico o in subordine cupola su pennacchi di stile bizantino». Infine è stato scitto che il pennaculum venne «sostituito dalla Cupola maiolicata tra il finire del Seicento e gli albori del Settecento … [cupola che] venne costruita (tra il 1691 e il 1701)». Questo in sostanza quanto riportato nell’articolo citato.
Posto preliminarmente che la cupola della chiesa madre di Gangi era già esistente all’inizio degli anni ’80 del Seicento, quando nel 1683 è documentata una spesa di 17 tarì «per haver fatto conzare le finestre della cubbola» (17), l’interpretazione del pennaculum quale mero elemento architettonico dal “gusto goticheggiante o tardo-gotico” o addirittura “cupola su pennacchi di stile bizantino” [sic] è, nel nostro contesto, alquanto impropria e imprecisa. Se infatti il termine “pinnacolo” indica per lo più un motivo architettonico di forma piramidale o conica, molto slanciato e più o meno aguzzo (per esempio una guglia) che serve a coronare la sommità di una costruzione, fra i suoi sinonimi (cima, picco, vetta) c’è anche quello di “campanile” o “torre”: ed è proprio in questa accezione che il termine va considerato, alla luce di quanto si ricava dalle fonti d’archivio.
Una prima presenza del termine la ritroviamo nel documento col quale, nel 1366, l’Arcivescovo di Messina affida ai Benedettini di Gangi Vecchio l’«oratorium s(anc)ti Petri» (l’odierna chiesa della Badia) e una casa «sita jux(te) pinnaculium hospitalis» (18): in questo caso il vocabolo potrebbe riferirsi tanto a una guglia quanto a una torre di pertinenza dell’ospedale annesso alla chiesa. Ma è un documento del 1634 a chiarire meglio la questione: il 16 gennaio di quell’anno infatti al mag(ister) Ph(ilipp)us galgano viene pagata 1 onza dal tesoriere dell’Università di Gangi «pro prectio unius janue facte in aula concionatoris existente subtus Pennaculum huius pred(itt)e terre» (19): sotto il pennaculum esisteva dunque un ambiente a cui venne fatta (o rifatta) una porta. Due documenti del secolo precedente confermano del resto che con il termine pennaculum doveva intendersi proprio la torre campanaria - che prima era una torre civica - della chiesa madre: un atto del 1575 (giorno e mese sono illeggibili) attesta come ad sonum campane il popolo venne congregato «intus pinnaculum maiori ecc(lesi)e» (20), prassi ribadita in un documento di due anni più tardo in cui si legge come «fuit congregatum concilium ad sonum campane intus pinnaculum R(everende) maioris ecc(lesi)e» (21), dunque dentro (o sotto) il pennaculum.
I tre documenti citati attestano in conclusione come il pinnaculum della nostra chiesa fosse un luogo di riunione e non un motivo architettonico: a riprova, un altro documento del 1710 attesta la costruzione delle stanze dell’oratorio della Confraternita del SS. Rosario proprio «subtus pennaculum» (22), ossia sotto la torre. Del resto è improbabile che il quarterio pinnaculi Reverende maiori ecclesie che appare in qualche documento ((23)- quartiere che peraltro non viene confermato nei Riveli del 1593 - potesse assumere il toponimo da un elemento stilistico poco significativo piuttosto che da una struttura evidente come la torre della matrice: ma questa è un’altra storia che racconterò in un’altra occasione.
Note
10 Ibidem, contratto agli atti del notaio Giovanni di Salvo in data 11 ottobre 1664, spezzone, c. 175-176.
11 Ibidem, contratto agli atti del notaio Giovanni di Salvo in data 3 novembre 1664, spezzone, c. 209v-212.
12 L’ipotesi è oggetto di uno studio in corso dal titolo Gangi forma urbis. Storia dello sviluppo urbano (XII-XIX secolo) di cui dò qui una anticipazione.
13 ASCG, Fondo notai defunti, contratti e note di pagamento agli atti del notaio Antonio li Destri, bastardelli 1690-1730.
14 Ibidem, atto in notaio Antonio li Destri in data 26 gennaio 1692, c. 148-149.
15 Ibidem, Memoriale della Compagnia del SS. Rosario della città di Gangi, 27 luglio 1710, notaio Antonio Li Destri, c. 666-667.
16 Ibidem, atto in notaio Antonio li Destri in data 22 ottobre 1721, c. 47v-49.
17 ACMG, Libri dei conti, vol. 2, c. 100.
18 BCRS, Libro dei privilegi dell’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio, c. 334. Il documento è integralmente riportato nell’Appendice dei documenti in S. Farinella, L’abbazia di Santa Maria di Gangi Vecchio. Storia, arte e misteri dell’antico cenobio benedettino, versione digitale Gangi 2013.
19 ASCG, Fondo notai defunti, nota di pagamento agli atti del notaio Tommaso di Salvo, 48v-49.
20 Ibidem, notaio ignoto, spezzone, c. 400 r/v.
21 Ibidem, atto del 4 settembre 1577 di notaio ignoto, c. 245.
22 ASCG, Fondo notai defunti, atto del 15 agosto 1710 del notaio Antonio. Li Destri, c. 665-671v.
23 Ibidem, atto del 12 novembre 1601, notaio Egidio di Salvo, c. 104v-105v.