L’assedio del 1299, la presunta distruzione e la presunta riedificazione di Gangi: dalla storia all’invenzione

di Salvatore Farinella©, testi inediti tratti da GANGI. LA STORIA. Dal Medioevo al Novecento. Vol. I. Dalla fondazione normanna alla fine del Medioevo (XII-XV secolo). Il borgo e il suo territorio  (in corso di pubblicazione), ottobre 2012

Tre motivi perché Gangi non fu distrutta e ricostruita

 

Nonostante il racconto tradizionale della distruzione totale di Gangi, e della sua successiva ricostruzione a seguito dei fatti del 1299, possa sembrare affascinante, la questione è da mettere fortemente in dubbio: è tutta da dimostrare infatti la tesi che l’originario borgo di Gangi sorgeva nella contrada Gangi Vecchio, che esso sia stato effettivamente distrutto nell’assedio di quell’anno e che dopo poco tempo la nuova Gangi sia sorta nell’attuale sito sul monte Marone. Anzi, dalla lettura dei documenti e dagli indizi forniti dal territorio, pare proprio che si sia incorsi in un clamoroso errore storiografico (e non sarebbe il primo: basti pensare, per esempio, alla questione dello Zoppo di Gangi o a quella di Filippo Quattrocchi), una “erudita” congettura sulla quale in molti si sono via via appiattiti fino ad alcuni scritti odierni.

Preliminarmente occorre riportare alcune opinioni di Illuminato Peri (1925-1996), fra i più importanti storici medievisti siciliani che dedicò particolare attenzione alla stesura di opere finalizzate a “costituire stimolo alla ricerca e alla meditazione” per i giovani studiosi: egli mise infatti in evidenza come il passo di Tommaso Fazello fu «alla base delle osservazioni non solo di quanti hanno creduto nella distruzione completa dell’antica Gangi … purtroppo senza il soccorso delle fonti» (11).

Lo stesso studioso sottolineò anche come la ricostruzione degli eventi riguardanti il borgo di Gangi apparisse palesemente forzata e carente del necessario esame delle fonti: egli asserì infatti che «rifacendosi al Cluverio, gli eruditi e gli appassionati più recenti, trascurando la consultazione diretta delle fonti sincrone, e in particolare l’Anonimo e Niccolò Speciale, non hanno rilevato che il cronista non parla di umiliazioni, di punizioni agli abitanti, e tanto meno di distruzione ab imis del castello … [e che] il contegno del comando fridericiano, a detta dello Speciale, fu invece dei più clementi» (12).

Vediamo dunque i motivi per i quali - secondo i documenti, le tracce sul territorio e anche l’opinione di autorevoli studiosi e storici siciliani - Gangi non fu distrutta nel 1299 e, di conseguenza, non fu ricostruita sul monte Marone.

Il borgo di Gangi (foto S. Farinella©)

1. I patti di resa

 

I documenti d’archivio confermano che l’epilogo della vicenda non vide la distruzione della terra di Gangi insin da’ fondamenti, com’è stato scritto dalla storiografia tradizionale, né la dispersione degli abitanti per le contrade, né la ricostruzione dell’abitato sul monte Marone subito dopo gli avvenimenti: a dare sostegno a questa conclusione è un documento di quegli stessi giorni di assedio.

Mentre Pietraperzia cominciava a capitolare sotto l’assedio del conte Manfredi Chiaramonte, il 24 maggio 1299 re Federico III imponeva agli assediati di Gangi - fiaccati da mesi di isolamento, nonostante la valida resistenza - le proprie condizioni di resa: di grande importanza per la storia di Gangi, il documento dei patti di resa rende in tutto il suo spessore la magnanimità del Sovrano aragonese e conferma che la terra fortificata di Gangi non venne affatto distrutta.

I patti di resa - le «Convenciones et pacta habita inter illustrem dominum Fredericum tercium dei gracia serenissimum dominum regem Sicilie» e coloro i quali erano «inclusis in terra Gangii castro et terre Petrepercie quas predictus dominus rex Fredericus tenet obsessas» - vennero stipulati «in castris prope Gangium», ossia presso l’accampamento di Gangi (13): secondo le condizioni imposte da Federico d’Aragona, Tommaso da Procida e gli altri avrebbero potuto recarsi nella piana di Milazzo per imbarcarsi verso il continente insieme con chi degli abitanti di Gangi avesse voluto seguirli, «salvi et securi in personis et omnibus rebus eorum» cioè avendone salva la vita e potendo portare con sé i propri beni. Anche per coloro i quali «voluerit in habitacione ipsa rimanere», ossia per chi col beneplacito del Sovrano fosse rimasto nella propria casa, era garantita salva la vita e le proprietà. Assegnando un tempo di ventitré giorni a partire da domenica 24 maggio, re Federico assicurava dunque l’immunità ai ribelli facendoli arrivare sani e salvi a Milazzo per imbarcarsi alla volta di Napoli.

Che le condizioni di resa dettate da Federico siano state accettate dagli assediati, e che dunque il re abbia usato verso gli abitanti di Gangi quella magnanimità dichiarata nei patti, è confermato da una serie di ulteriori documenti degli anni successivi: già nell’agosto del 1299 (14) e poi negli anni seguenti almeno fino al 1318 (15) i documenti attestano infatti che sia Tommaso da Procida (fratello di Giovanni, Cancelliere dei regni d’Aragona e di Sicilia e consigliere di re Giacomo) che Bertran de Canelles (già ambasciatore di Giacomo II) erano passati al servizio dello stesso Federico d’Aragona, quali ambasciatori presso il fratello Giacomo. Il documento di resa porta a credere che se i fautori della rivolta vennero graziati tanto da passare al servizio di re Federico, tanto più il Sovrano dovette rispettare i patti di resa non distruggendo la fortezza di Gangi: e ciò anche per mero calcolo strategico, poiché sarebbe stato svantaggioso per il re abbattere un borgo fortificato che di fatto rimase inespugnato.

2. Altri documenti

 

Altri documenti del periodo confermano che il borgo di Gangi non subì la rappresaglia descritta dalla tradizione storiografica (16), e che la terra non venne affatto distrutta da Federico III. Un documento del novembre 1302 - un atto di vendita di alcuni poderi presso Petralia - cita una via che conduce ad terram Gangi (17): appare del tutto improbabile che la ricostruzione di un paese «distrutto fin dalle fondamenta» possa essere avvenuta in poco più di tre anni, dato che il documento del 1302 parla della terra di Gangi come di una realtà già esistente.

Un altro documento del 1307 (o del 1322) relativo all’amministrazione della contea di Geraci (18) descrive la produzione agricola e zootecnica di Gangi, dei suoi mulini e delle sue fornaci: appare difficile pensare che attività del genere possano essere state ricostituite in pochi anni dopo la presunta distruzione dell’abitato e la dispersione degli abitanti. Ancora più difficile è sostenere la presunta ricostruzione di Gangi dopo il 1324 - come scrisse l’Alaimo -, dato che già anni prima il borgo appariva perfettamente inserito negli schemi produttivi della contea di Geraci.

 

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Note

 

11 - I. Peri, I paesi delle Madonie nella descrizione di Edrisi, in VII Centenario della morte di Ruggero II, Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani, 21-25 aprile 1954, Palermo 1955, vol. II, p. 635 e nota 26.

12 - I. Peri, I paesi delle Madonie, cit., p. 637. L’Anonimo a cui si fa riferimento è l’autore ignoto del Chronicon Siculum il quale sintetizza così gli avvenimenti: «De quibus quidem Castris, Terris, et locis Siciliae rebellatis et captis, ut praefertur, dictus Dominus Rex Fredericus obsedit, recuperavit et habuit post multos latore et insultus Terra set Castra praedicta Iachii, Gangii, et Aydoni»: cfr. I. Peri, I paesi delle Madonie, cit., p. 638, nota 34.

13 - F. Giunta, A. Giuffrida (a cura), Acta Siculo-Aragonensia, cit., doc. XIV, p. 61-63.

14 - Ivi,doc. XVI, p. 63-64.

15 - Ivi, passim.

16 - Dello stesso parere fu anche A. Mogavero Fina, Magnanimo l’Aragonese “re di Trinacria” dopo l’assedio e il saccheggio di Gangi (1299), in “Il Corriere delle Madonie” del 15 luglio 1974, p. 3. Lo studioso madonita fa riferimento a un’altra copia del documento dei patti di resa, rinvenuto «nei Diplomi della Chiesa di Cefalù, trascritti a cura dell’insigne Barone Mandralisca, in tre volumi conservati presso la Biblioteca del Liceo».

17 - S. Giambruno, Il Tabulario del Monastero di S. Margherita di Polizzi, Società siciliana per la Storia Patria, Palermo 1909, doc. XVI, p. 32.

18 - E. Mazzarese Fardella, Il Tabulario Belmonte, Palermo 1983, doc. 17, p. 38 e segg..