La torre detta "dei Ventimiglia" a Gangi fra "pinnaculum", Cavalieri di Malta e altri abbagli storici, passando dalla fondazione di Gangi e da uno stemma araldico di stravagante lettura: risposta a Mario Siragusa su discutibili, presunte "certezze" - 3^ Parte

di Salvatore Farinella©, testo inedito - dicembre 2014

Stemma Graffeo Grimaldi sulla porta laterale della chiesa madre (foto S. Farinella©)
Stemma Graffeo Grimaldi sulla porta laterale della chiesa madre (foto S. Farinella©)

9 - Sullo stemma della chiesa madre

 

- Una avventurosa e stravagante lettura araldica porta l'articolista ad affermare che «per qualche studioso, come l’illustre prof. Enzo Maganuco e l’Alaimo, [la nostra torre] aveva delle più che probabili origini signorili e feudali (La chiesa di Gangi nell’era pagana e cristiana, Palermo 1958). Origini siffatte che ancor oggi potrebbero essere attestate e confermate da uno stemma gentilizio esistente su una porta di accesso all’edificio cultuale in esame (S. Nicolò) a pochi metri dalla nostra torre campanaria: notiamo alcune sue affinità iconografiche con lo stemma ottocentesco del già ventimigliano Comune di Geraci».

Scambiare lo stemma araldico posto sul portale laterale della chiesa madre (di cui all'immagine sopra riportata) con lo stemma araldico dei Ventimiglia (che, com'è noto, è bipartito di rosso col capo d'oro, come si vede nell'immagine di seguito), e addirittura valutarne le «affinità iconografiche con lo stemma ottocentesco del già ventimigliano Comune di Geraci» (tre stelle su campo azzurro e tre bande orizzontali di rosso su fondo d'argento, com'è evidente nell'immagine seguente), è a dir poco scioccante: quello sul portale della nostra chiesa (immagine sopra riportata) è lo stemma araldico dei principi di Gangi, Graffeo sulla destra (araldica) e Grimaldi sulla sinistra (araldica), verosimilmente riferiti al principe Francesco Graffeo e alla moglie Caterina Grimaldi, prima metà del Seicento! Ogni altro commento è superfluo.

 

Stemma araldico dei Ventimiglia
Stemma araldico dei Ventimiglia
Stemma del Comune di Geraci
Stemma del Comune di Geraci

10 - Sulla “rifondazione” di Gangi

 

- Un’ultima considerazione su quanto affermato dall’articolista va fatta, seppure in estrema sintesi (data l’ampiezza dell’argomento per l’approfondimento del quale rimando alla sezione all’interno di questo sito) sulla “rifondazione” di Gangi. Secondo il nostro articolista, «di quest’ultima [della torre], se ci si consente una breve digressione, non sono assolutamente documentate le presunte origini normanne, frutto di una nuova ipotesi. Appare invece fondata (sulla base di evidenti ragioni toponomastiche, archeologiche, documentarie) la plurisecolare tradizione storiografica che narra di una rifondazione del paese sul Marone nel XIV secolo dopo la distruzione e spopolamento dell’omonimo antico centro posto in località Gangivecchio. Ciò avvenne in seguito all’assedio del 1299 portato avanti dalle truppe di Federico III di Sicilia. Invece oggetto di forzature e scarsamente convincente appare la recente tesi revisionista che vuole la Gangi medievale non distrutta nel XIV sec. e sita sul Marone sin dall’età normanna!».

E ancora: «torre e Chiesa di Gangi, pare, sulla base di documenti noti, siano coeve: trecentesche, e comunque non di età normanna come oggi indicato, senza alcuna prova documentaria, in una nota descrittiva ad uso dei turisti posta accanto alla medesima Chiesa di San Nicolò; stesso discorso valga per le oggi asserite e presunte mura esistenti sotto la torre, classificate come normanne [?], ma senza prove documentarie o archeologiche riconosciute dalla comunità scientifica».

Veduta di Gangi (foto S. Farinella©)
Veduta di Gangi (foto S. Farinella©)

- Nella sua solita lettura parziale del mio articolo precedente (novembre 2013), l’articolista mi attribuisce una origine normanna della torre in questione: in nessuna parte dello scritto ho mai sostenuto ciò.

Detto questo vediamo i termini delle questioni sollevate dall’articolista.

A suo dire la «plurisecolare tradizione storiografica» che narra della rifondazione di Gangi sul monte Marone dopo la (presunta) distruzione del primo borgo a Gangi Vecchio nel 1299 appare «fondata sulla base di evidenti ragioni toponomastiche, archeologiche, documentarie»: peccato che né l’articolista né tantomeno l’invocata «plurisecolare tradizione storiografica» (dal Fazello nel 1558 in poi fino al Nasello e all’Alaimo) portano uno straccio di prova, uno straccio di documento a sostegno di una distruzione che verosimilmente non è mai avvenuta. Non esiste nessuna ragione o prova toponomastica, né tantomeno archeologica, né tantomeno documentaria di ciò: esiste invece un preciso documento che si chiama “Patti di resa” del borgo di Gangi a re Federico III, datato 24 maggio 1299, pubblicato dal medievista e docente universitario nonché studioso di origine gangitana Francesco Giunta, che racconta della magnanimità del Sovrano che risparmia il borgo che, per la sua posizione eminente (e non certo sottomessa e dunque certamente non localizzabile a Gangi Vecchio), non venne espugnato; esistono documenti (pubblicati dallo stesso Giunta) che attestano come qualche anno dopo i fatti gli assediati di Gangi fossero al servizio di Federico III (e certamente non lo sarebbero stati se il borgo fosse stato distrutto); e ci sono pareri di autorevoli studiosi siciliani (e, se si consente, un po’ più quotati rispetto al Nasello e all’Alaimo e allo stesso articolista) come Nicolò Palmeri, Illuminato Peri, Mogavero Fina che escludono categoricamente la distruzione di Gangi. Sull’argomento ho proposto la mia lettura (credo molto più attenta e puntuale, oltre che coerente, rispetto al supino e acritico consenso dell’articolista verso la “plurisecolare tradizione storiografica” che più volte - con i miei scritti, finora non appellati - ho dimostrato essere completamente errata) all’interno di questo sito a cui rimando.

La torre di Gangi (foto S. Farinella©)
La torre di Gangi (foto S. Farinella©)

-  Riguardo al fatto che «torre e Chiesa di Gangi, pare, sulla base di documenti noti, siano coeve: trecentesche», immagino che l’articolista abbia a disposizione quei «documenti noti» che invece chiede a me riguardo all’ipotesi di fondazione normanna del borgo di Gangi. Se è chiara la veste trecentesca del primo piano della torre (e quattrocentesca del secondo piano, sebbene il piano terra presenti elementi architettonici e particolari che preludono ai decenni del secondo Duecento), rilevo come sia lo stesso Valenti a non escludere un possibile influsso normanno nella nostra struttura, passo della Relazione che evidentemente sfugge all’articolista: tuttavia meno chiara è la veste attuale della chiesa madre per cui mi chiedo come l’articolista possa asserire che torre e chiesa siano coeve trecentesche. E poi quali sono i documenti noti trecenteschi sulla cui base è possibile fare tale asserzione?

In effetti abbiamo qualche difficoltà a inquadrare il periodo di fondazione della chiesa madre, sebbene alcuni elementi (l’intitolazione, l’orientamento, la presenza delle absidi documentate ancora nella metà del Cinquecento, ecc.) possano fare pensare - come ipotesi di studio o, per dirla col Bresc, proposition de travaille - a una possibile sua origine normanna, e ciò alla luce di quanto si è detto sulla pseudo e per niente scontata distruzione di Gangi del 1299: ragionamenti complessi (che vanno al di là dell’accettazione semplice tout court della tradizione storiografica, senza il minimo atteggiamento critico) propongono un’altra ipotesi che è quella della possibile fondazione normanna di Gangi per la cui comprensione rimando alla sezione all’interno del sito più volte citata.

Le mie «asserite e presunte mura esistenti sotto la torre» sono, per informazione dell’articolista, delle alte volte ogivali perfettamente visibili e “palpabili” (oggi per la verità se ne conserva solamente una), la cui struttura architettonica è ben compatibile con l’epoca normanna: è evidente che le «prove documentarie» invocate dall’articolista - e che, a quanto pare, varrebbero solo per me e non per la tradizione storiografica di cui egli è paladino - non possano esserci (dubito che si possa trovare un documento che attesti la costruzione normanna di quelle strutture). Per le «prove archeologiche riconosciute dalla comunità scientifica» credo che dovremmo aspettare parecchio, così come dovremmo aspettare parecchio per le medesime prove archeologiche riconosciute dalla comunità scientifica riguardo alla distruzione di Gangi del 1299 (anzi, le prove archeologiche in quel di Gangi Vecchio del 1974 - scavi Giunta - dicono esattamente il contrario, ossia che qui non c’era altro che un insediamento modesto e non il borgo di Gangi). Per il momento si accontenterà, l’articolista, di questa nuova e avvincente ipotesi: a me la capacità di dimostrare il grado di attendibilità delle interpretazioni (vedasi Orazio Cancila citato in principio di questo scritto), al nostro articolista la capacità di dimostrare l’attendibilità delle sue controdeduzioni, tentativo finora non riuscito.

 

Per chiudere questa lunga risposta alle confuse asserzioni dell’articolista, due ultime notazioni vanno fatte su due immagini apparse nella versione rivisitata dell’articolo pubblicata sul sito condotto dallo stesso articolista (datata nei primi di dicembre 2014): versione rivista con l’eliminazione di alcuni errori pacchiani (che non figurano più, rispetto alla prima versione più integrale datata 10 ottobre 2014 sulla base della quale ho risposto con il presente scritto) ma che riflettono comunque, nonostante le correzioni-omissioni, i limiti di quello scritto. La prima notazione è sul disegno di ricostruzione grafica (a firma di Giuseppe A. Scarpa) a corredo dell’articolo, la cui didascalia propone «come doveva probabilmente apparire la Chiesa di S. Nicolò e Torre dei Ventimiglia in origine»

 

Ricostruzione grafica di "come doveva probabilmente apparire la Chiesa di S. Nicolò e Torre dei Ventimiglia in origine" (disegno di G.A. Scarpa tratto dal web)
Ricostruzione grafica di "come doveva probabilmente apparire la Chiesa di S. Nicolò e Torre dei Ventimiglia in origine" (disegno di G.A. Scarpa tratto dal web)

A parte l’interpretazione grafica del disegnatore che contestualizza la chiesa e la torre in un ameno paesaggio naturalistico come se nell’intorno non esistesse né la piazza né un ambito urbano ma ci si trovasse in aperta campagna, le indicazioni sulla fisionomia del complesso architettonico (certamente fornite al disegnatore dall’articolista) risultano fuorvianti e assolutamente anacronistiche per i seguenti motivi: posto che “l’origine” a cui si riferisce la ricostruzione grafica sia l’età tardo medievale (non si comprende quale periodo ma, considerato che il disegno propone la torre completa nei suoi tre piani, potremmo azzardare la metà del XV secolo), nel disegno la chiesa di San Nicolò viene rappresentata come una piccola cappella capace di ospitare non più di venti persone e non come la chiesa madre del borgo che pur “in origine” doveva essere in grado di accogliere quella fiumana di popolo che secondo l’articolista si riuniva «intus matricem ecclesiam»; assolutamente errata è poi la rappresentazione, in quel contesto medievale di “origine”, di un portale ampiamente documentato alla metà del Seicento (si vedano le mie pubblicazioni sull’argomento), ossia a due secoli dopo l’epoca della raffigurazione che vorrebbe chiarire la fisionomia della chiesa “in origine”; assolutamente incoerente è poi la realizzazione grafica, sulla torre, di una guglia piramidale di foggia più seicentesca che medievale (e dunque per niente gotica) spacciata per il pinnaculum (che ora sappiamo essere nient'altro che la pinnata, ossia il portico laterale della chiesa madre) di cui alle asserzioni dell’articolista (ma il pinnaculum non era al posto della cupola e del lanternino?), giacché il pinnaculum “in origine” medievale e di carattere gotico aveva ben altra foggia (per intenderci, per esempio, i pinnacoli gotici tuttora esistenti nella cattedrale di Palermo). Ma del resto ho ampiamente dimostrato sopra come il nostro pinnaculum altro non fosse che la pineta della chiesa madre. Rilevo poi come la poca accortezza della ricostruzione grafica di carattere storico abbia portato l'articolista e il suo disegnatore a proporre la zoccolatura alla base dei piloni della torre, elemento certamente inesistente "in origine" perché realizzato agli inizi del Novecento: sarebbe bastato osservare una delle vecchie fotografie che ritraggono la torre per comprendere che quell'elemento non era per niente "originario".

La seconda notazione riguarda l'immagine di uno stralcio di un documento (evidentemente manipolato in quanto non conforme all'originale) con la seguente didascalia: «Arch.storico com. Gangi, notar De Salvo, atto del 10-1-1573, f.151: "Iu(x)ta pinnaculum" (2° riga)».

Scritta "Iu(x)ta pinnaculum" secondo l'articolista (foto dal web)
Scritta "Iu(x)ta pinnaculum" secondo l'articolista (foto dal web)

A parte il fatto che, come al solito, nell'indicazione della fonte manca la citazione del volume, particolare che rende vana (e non a caso) ogni verifica,  di seguito si propongo gli stralci conformi di due documenti: uno riguarda la locuzione "intus pinnaculum", l'altro la locuzione "iuxta apotecham" (i riferimenti alle fonti sono citati nella didascalia delle immagini). Come ho avuto modo già di dimostrare in questo articolo (punto 4), è lapalissiano che nelle abbreviazioni notarili il segno 9 (la parte finale della prima parola che assomiglia a un nove) altro non è che la desinenza us, come in eius, huius, filius, ecc. e, dunque, come in intus (cito Lexicon Abbreviaturarum. Dizionario di abbreviature latine e italiane, a cura di A. Cappelli, Modena 1929, edizione Dizionari Hoepli, Milano 1985, p. XXIV-XXV): e poi è talmente chiara la differenza fra iuxta (seconda immagine) e intus che ogni altro commento appare superfluo.

 

Il “mestiere” di storico o meglio di storiografo - ossia di scrittore di memorie storiche elaborate sulla base di approfondite ricerche - è troppo importante per essere ridotto a un semplice esercizio di scrittura che, senza un minimo di verifica e di osservazione critica, fa passare per veri luoghi comuni e credenze diffuse, quelle che resistono al passare del tempo e che molti credono vere anche quando sono smentite dalle indagini storiche. Ritengo che, proprio per la responsabilità che ha di trasmettere correttamente la storia, lo storiografo debba compiere un'analisi dettagliata e precisa degli eventi, e dunque della storia, basandosi su conoscenze attendibili, ma anche su interpretazioni e ricostruzioni chiare e individuabili: e ritengo che il “mestiere” di storiografo debba essere svolto in una prospettiva critica e scientifica della ricerca storica che consenta di vagliare in modo rigoroso l’autenticità delle fonti, fino a mettere in discussione l’autorità della tradizione, «perché ogni epoca trova sempre insoddisfacente la storiografia della generazione precedente e riscrive (dico riscrive) la storia, esprime cioè una sua storiografia …[perché] abbiamo altre domande da rivolgere al passato» (O. Cancila).

In conclusione, da quanto si è potuto trarre dalle note sopra scritte, credo che l’affermazione di Fabi, Silvestri e Gazzé sia più che vera: "Chi vuole scrivere impari prima a leggere”.

 

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